il fenomeno

In strada quasi 200 donne «schiave» del racket

Quasi tutte dell’ex Europa, hanno un protettore cui pagare il viaggio in italia I volontari: «Confinarle in zone meno frequentate le esporrebbe a più rischi»



TRENTO. In attività sono poco meno di duecento. Il giorno che lavorano di più, quando sulla strada se ne possono contare mediamente più di 20, è il venerdì. Quasi tutte, infine, sono “schiave” di un protettore che le fa lavorare per ripagarsi le spese di viaggio ed i documenti che sono serviti per andare via dal proprio paese. E' la fotografia del mondo della prostituzione in città. Uno scatto in chiaroscuro che, per la verità, negli anni è rimasto pressoché immutato. Sono cambiati non i numeri ma le etnie di queste ragazze che si vedono sulle strade alla luce dei lampioni ma, pure, in talune zone, sotto quella del sole: all’inizio erano in larga maggioranza africane. Poi c’è stato il periodo delle sudamericane, ora in strada si vede una maggioranza di ragazze provenienti dall’est europeo.

Ma davvero, come pretende l'opposizione in Comune, togliere dalle strade le prostitute (o perlomeno dalla vista dei cittadini) sarebbe un miglioramento in termini di sicurezza e di qualità della vita in Comune? L'approfondimento sul tema, con attenzione in primo luogo agli approfondimenti socio-sanitari, è iniziato ieri in commissione per le politiche sociali. L'organo consiliare dovrà esprimere un parere sulla deliberazione presentata da “Civica Trentina” dal titolo “Contrasto al fenomeno della prostituzione” che, tra le altre cose, prevede anche il sanzionamento (la multa insomma) per il cliente che venisse sorpreso mentre si apparta con una di queste donne. I dubbi su questo tipo di approccio, quello cioè di togliere semplicemente dalla vista della gente quello che accadrebbe poi di nascosto, lascia perplessi gli operatori di strada. Come i volontari della Lila (la Lega per la lotta all'Aids) che per le vie della città, coinvolti dall'allora sindaco Alberto Pacher, ci sono stati per interagire con le prostitute (controllandole, suggerendo esami e distribuendo preservativi) dal 1998 all'anno scorso: «Per noi allontanarle dalla città vorrebbe dire che queste ragazze si spostano, vanno a fare quello che fanno in altre zone, e non le vedremo più. Questo, oltre al fatto che si andrebbe a perdere anche un prezioso monitoraggio sanitario, avrebbe conseguenze anche sulla loro sicurezza. Qualche rischio lo possono correre in città ma non c'è dubbio che in zone meno frequentate ne correrebbero anche di più» osservano le operatrici. Il lavoro dei volontari (ieri sono intervenuti anche quelli del Punto d'approdo e dell'Altrastrada) è delicato. Debbono guadagnarsi la fiducia del popolo della notte, parlarci, conoscerle: «E chi si occupa di prevenzione, di questione sanitarie, deve anche vincere la loro ritrosia, fare capire che non abbiamo niente a che fare con le forze dell'ordine. Che siamo impegnati per la loro salute. Che è anche quella del cliente che, a cascata, diventa poi quella di tutti» osservano alla Lila. Chi si prostituisce in rarissimi casi – si nota - lo fa per scelta: «Più che una tematica di ordine pubblico è legata alla sfera sociale. Sono donne che debbono riguadagnarsi una propria libertà, che debbono ripagare un debito contratto con chi le ha portate qui. Questo non è cambiato, il “controllo” c'è sempre, mentre in questi anni sono cambiate le etnie delle donne. Un aspetto positivo in tutto questo è che, per l’esperienza maturata dagli operatori della Lila, è molto aumentata la consapevolezza della prevenzione. L’uso del preservativo è pressoché totale e la salute delle donne sarebbe dunque tenuta sotto controllo.

(g.t.)













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