economia

In due anni cento ristoranti in più

Dati sorprendenti dalla Camera di commercio. Ma la crisi continua: nel complesso perse 2.700 imprese dal 2006


di Luca Marognoli


TRENTO. La cattiva notizia è che continua, costante ma apparentemente inarrestabile, l’assottigliamento del tessuto imprenditoriale trentino iniziato nel 2007; quella buona che il commercio al dettaglio, negli ultimi due anni, tiene ma soprattutto che la ristorazione cresce, almeno in termini di numeri di imprese iscritte al registro della Camera di commercio. Lo attestano i dati raccolti dall’Ufficio studi e ricerche di via Calepina: 28 attività in più (il totale è 281) nel comune di Trento e 101 in più (1.477) sul territorio provinciale alla fine di dicembre 2014, rispetto allo stesso periodo del 2012. Difficile dare un’interpretazione del fenomeno: si può ipotizzare che la gente non rinunci ad andare a mangiare fuori (magari spendendo un po’ meno) preferendo risparmiare in altri settori, anche grazie al rapporto di fidelizzazione che il ristoratore riesce a instaurare con la clientela.

Sempre negli ultimi due anni i bar aumentano di un’unità (arrivando a 344) a Trento e di 21 in provincia (sono 1.656).

Sostanziale stabilità nel commercio al dettaglio, che passa da 811 a 837 aziende a Trento, mentre resta identico (4.038) su scala provinciale: praticamente invariato l’abbigliamento (170 i negozi registrati a Trento e 757 in provincia), lo stesso nei prodotti per l’uso domestico, per la cultura e lo svago, il carburante e l’informatica. Aumento invece per la voce che riunisce gli alimentari, le bevande e il tabacco, con 14 aziende in più in città e 32 in più in tutto il Trentino.

Aggregando negozi, bar e ristoranti, si registra il passaggio da 1.407 a 1.462 unità a Trento, con un saldo positivo di 55 imprese, e da 7.049 a 7.171 in provincia, con un incremento di 122 attività. Da notare che questo dato positivo è in gran parte attribuibile all’apporto degli imprenditori stranieri, che in provincia passano dai 502 del 2012 (pari al 7,1%) ai 593 del 2014 (pari all’8,3%): 91 attività in più sulle 122 complessive (le italiane crescono quindi solo di 31 unità). La presenza straniera incide di più nel mondo della ristorazione (13,2%), che in quello dei bar (9,0%), mentre ha un peso del 6% circa sia nell’abbigliamento e calzature che negli alimentari.

La buona salute della ristorazione e del commercio al dettaglio risalta ancora di più se si considera lo scenario complessivo, di perdurante stagnazione. A fine 2014 le imprese trentine erano 51.106 (delle quali 3.249 straniere, comprese quelle frutto dell’immigrazione di ritorno da Paesi come la Svizzera), contro le 51.293 del 2013, le 51.747 del 2012 e le 53.382 del 2008, anno di inizio della crisi. Se si fa un raffronto con il 2006, annata particolarmente favorevole (53.868 le aziende), si deduce che la crisi ha “lasciato sul terreno” 2.762 realtà imprenditoriali, il 5,12%.

A subire le maggiori “perdite”, come è noto, il comparto delle costruzioni (381 imprese in meno dal 2009), del manifatturiero (-368) e del commercio all’ingrosso (-252).

Un altro fattore indicativo del difficile contesto economico è il turnover, che se troppo elevato può essere considerato un segnale di instabilità: le “cessazioni” di imprese sono state 2.932 nel 2014, pari al 5,6%, un dato che si può considerare “fisiologico” ma che è comunque più alto del 2006, quando era stato del 4,8%. In quell’anno erano state contate 2.613, circa trecento in meno, ma le iscrizioni avevano raggiunto quota 3.303, quasi 600 in più del 2014 (2.725). Una nota tecnica: il dato assoluto delle iscrizioni va comunque preso con le pinze, perché non tiene conto delle aziende non ancora classificate, che a fine 2014 erano 1.576.

Restando al turnover, su scala nazionale nel 2014 risulta superiore che in Trentino, attestandosi a 6,3%, 7 punti in più: le cessazioni sono state infatti 383 mila su un totale di 6 milioni e 41 mila. Sette anni prima, nel 2007, alla vigilia della crisi, era stato del 7,1%: 440 mila hanno abbassato le serrande su 6 milioni e 123 mila.

In termini assoluti, però, dal 2006 (6 milioni e 125 mila) al 2014 il calo è stato di sole 84 mila unità, l’1,4% in meno. Come si spiega una tale differenza rispetto al dato trentino (5,12%)? Forse con la bolla speculativa nel settore immobiliare, parzialmente “drogato” dalla Provincia: i contributi riversati sul settore erano senz’altro superiori prima del 2006 (basti pensare ai Patti territoriali) ed eravamo ancora nell’epoca dei grandi investimenti nelle opere pubbliche.

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