«Il problema case di riposo affrontato con grave ritardo» 

La Consulta per la salute. Le riflessioni di Renzo Dori: «Quando è iniziata l’emergenza Covid non si è tenuto conto dell’estrema fragilità di ospiti che hanno più patologie croniche e non è stato tutelato il personale che vi presta servizio»


Gianpaolo Tessari


Trento. C’è un problema, non soltanto etico, ma anche di diritto ad essere ricoverato anche nei reparti di rianimazione, nella gestione del fine vita di chi sta nelle nostre case di riposo? E la drammatica emergenza sanitaria legata al Covid penalizza in questi giorni chi ha altre, gravi, patologie? In questo colloquio prova a dare delle risposte Renzo Dori, ora presidente della Consulta per la salute, ma con una trascorsa esperienza di 19 anni presidente della rsa di Povo.

Dori è vero che gli anziani delle rsa non vengono ricoverati nelle rianimazioni? Viene, tra virgolette, “leso” un loro diritto ad essere curati?

C’è un problema, anzi una serie di problemi, che ci ha portati ad avere un così alto tasso di decessi legati al Covid nelle rsa. Ma, glielo anticipo subito, è rarissimo (ed io sono d’accordo su questo come lo è chi conosce bene questo settore) che un anziano malato venga portato da una rsa in rianimazione in ospedale. Ma su questo ci torniamo.

Partiamo dai problemi strutturali che dal suo osservatorio ha individuato.

La sanità trentina sulla situazione, delicatissima, presente nelle rsa si è mossa in ritardo. Non ci si è resi conto dell’alta concentrazione di fragilità che c’è nelle case di riposo. Ci si è concentrati sugli ospedali, sull’adeguamento delle terapie intensive (che ci vedeva fermi a numeri molto bassi a Trento e a Rovereto) sulle regole di distanziamento e sul “tutti a casa”. Ci si è accorti che esistevano le rsa quando c’è stato il primo caso. Con la criticità forte su Pergine, ci si è resi conto che il problema era molto grande: il vero problema dei decessi per Covid è dentro le case di riposo. Ma sui numeri di quei morti, perché si fanno pochi tamponi, non c’è chiarezza.

Parliamo di persone fragili, che vivono vicine una all’altra.

Non solo. L’altro problema che spiega perché la situazione nelle rsa sia esplosa è quelle del personale. Per dotare di mascherine il personale si sono dovuti fare appelli: ci si era scordati che in quelle strutture lavorano infermieri, oss e medici. Con i primi contagi è stato messo in quarantena del personale già all’osso, perché viene destinato alle strutture in base al numero dei posti letto e non del carico assistenziale, della gravità delle patologie.

Ecco pazienti con più di una patologia cui, in molti casi, il virus è fatale.

Nelle rsa non c’è rianimazione ma è previsto l’accompagnamento alla morte. Su questo c’è un approccio avanzato con personale preparato e sensibile, visto che gli ospiti sono spesso visti come persone di famiglia.

Le cifre fanno impressione.

Le morti ci sono sempre state, parlano i numeri. Ora c’è una concentrazione di decessi legata al virus. La rianimazione? Ogni persona ha una storia a sé, ma è sempre stato rarissimo che un paziente di una rsa vada in rianimazione. Ci può essere una acutizzazione di un problema ma nelle case di riposo c’è una grande concentrazione di malattie croniche: non si mira alla guarigione ma alla migliore qualità di vita possibile. E la malattia cronica ha il suo decorso. Negli ospedali sanno bene che nelle rsa il paziente è conosciuto, l’erogazione dell’ossigeno a letto è presente pressochè ovunque ma il virus provoca crisi respiratorie importanti. Intubare un anziano in quelle condizioni è pratica assai vicina all’accanimento terapeutico.

Dori, oltre alle rsa, c’è un problema legato alla gestione dei malati non di Covid? Esempio: un malato di cancro vede posposta di molto un’operazione chirurgica?

C’è una riprogrammazione di certi interventi ma chi aveva necessità importanti ci risulta abbia avuto una riprogrammazione nell’ordine di una decina di giorni.













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