Il perito: «Fumi tossici dalla caldaia di S.Michele»

Nel mirino l’impianto di riscaldamento a biomassa della Fondazione Mach: doveva essere un gioiello tecnologico (costato 3,5 milioni). Si è rivelato un colabrodo


di Luca Pianesi


TRENTO. Una caldaia poco potente, emissioni di monossido di carbonio sempre fuori norma, un filtro per i fumi inadeguato, condotti e camini troppo sottili e poi alcune gravi inadempienze come l’assenza di un manuale di manutenzione dell’impianto e un mai eseguito collaudo ufficiale. E’ con questo elenco che si può sintetizzare il pasticciaccio dell’impianto di teleriscaldamento della Fondazione Edmund Mach, un generatore a biomassa costato più di 3 milioni e 600 mila euro (di soldi pubblici), fiore all’occhiello dell’istituto che in Italia e nel mondo si occupa di far progredire, tra i tanti progetti, proprio la tecnologia legata al teleriscaldamento e alla tutela dell’ambiente.

Un impianto ufficialmente spento dal 4 gennaio 2012 per il collasso di un condotto, ma che, a quanto risulta dalla relazione fatta dal Consulente Tecnico d’Ufficio (Ctu) nominato dal Tribunale di Trento per accertare responsabilità e cause di tale rottura, proprio bene non ha mai funzionato. «La causa – si legge nella relazione del Ctu - risale all’epoca della realizzazione dell’impianto ed è da imputare all’incapacità strutturale della caldaia, e dell’impianto a biomassa in generale, di produrre calore emettendo fumi con valori di monossido di carbonio costantemente entro i limiti di legge».

Insomma i problemi sono all’origine e risalgono almeno al 2007, quando la Fondazione ha affidato alla Guerrato Spa la realizzazione dell’impianto. Quest’ultima, immediatamente, ha subappaltato l’opera alla Tiba Muller, impresa che ha iniziato i lavori ma che li ha potuti condurre per poco più di un anno, poiché nel 2009 è fallita. Guerrato ha quindi dovuto occuparsi di concludere la realizzazione dell’impianto ma la regolazione, i test e le verifiche sulla caldaia li ha affidati a Shmid Italia Srl, un’azienda il cui responsabile tecnico era l’ex titolare della Tiba Muller. Ed è stato proprio quest’ultimo a non rilasciare alcun verbale di collaudo. Nelle stagioni 2009/2010 e 2010/2011 Guerrato s’è occupata della conduzione e della manutenzione dell’impianto e alla Fondazione Mach più volte si sono verificate strani aumenti dei fumi che spesso erano visibili in tutta San Michele.

L’Azienda Provinciale per la protezione dell’ambiente (Appa), però, all’epoca, non s’era interessata della questione e, si legge nella relazione del Ctu, «non ha effettuato alcuna visita ispettiva». Il 13 settembre 2011 l’appalto per la gestione e per la manutenzione dell’impianto viene vinto da un raggruppamento d’imprese composto da Trentina Calore Srl e Enerprom Srl. Ed è stato in quel momento che i nodi sono cominciati a venire al pettine. I nuovi gestori hanno provato a far funzionare l’impianto ma immediatamente, già il 25 novembre, si sono resi conto che, scrive il Ctu, questo «non era in grado di funzionare correttamente».

Quindici giorni prima, infatti, una visita ispettiva dell’Appa aveva rilevato «un non corretto livello delle emissioni inquinanti della centrale a biomassa – si legge a pagina 5 della relazione - in particolare il monossido di carbonio risultava notevolmente oltre i limiti consentiti dalla legge». L’Azienda provinciale, in quell’occasione, aveva fatto 3 campionamenti con questi risultati: 1131 mg/mc, 1201 mg/mc, 2507 mg/mc. Questo quando il limite consentito dalla legge è fissato a 300 mg/mc. L’impianto è quindi stato fermato da Trentina Calore e Enerprom, ma la Fondazione, convinta che fossero proprio loro a non saper gestire l’impianto lo ha, temporaneamente riaffidato a Guerrato e Schmid per «verificare lo stato dello stesso». E proprio in uno dei test, il 4 gennaio 2012, è collassato il camino. A quel punto la Fondazione ha chiesto un accertamento tecnico preventivo al tribunale di Trento che ha constatato come l’impianto a biomassa «è strutturalmente non in grado di produrre calore emettendo fumi con valori di monossido di carbonio costantemente entro i limiti di legge».

Ciò è dovuto principalmente al sistema di filtrazione che viene definito dal Ctu «poco efficiente, incompatibile con le elevate potenze dell’impianto, non in grado di funzionare in continuo per lunghi periodi».

Mal progettata risulta essere anche la caldaia che «è in grado di produrre una potenza termica utile di poco superiore a 2 MW» quando per funzionare a regime dovrebbe produrre 3,48 MW. E poi c’è il condotto fumi (quello collassato a inizio 2012) «oggettivamente molto sottile, non dotato non solo di alcun sistema di sicurezza (..) ma nemmeno di allarme».

Insomma: un impianto colabrodo che anche se non ci fosse stata la rottura del camino «avrebbe dovuto essere fermato comunque».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano