Il grazie della città al “domatore di bombe”

Dal sindaco una targa al maresciallo Capobianco per i suoi 80 anni: «Ha protetto tanti roveretani»



ROVERETO. «A chi con il proprio servizio ha protetto tanti roveretani». Così con una targa ed una breve cerimonia l’amministrazione comunale ha voluto ringraziare, in occasione dei suoi 80 anni, Carmelo Umberto Capobianco, conosciutissimo ex comandante della polveriera di Marco e capo nucleo bonifica artificiere, che nel corso della sua lunga carriera (41 anni) ha “domato” un migliaio di bombe d’aereo e neutralizzato milioni di bombe di varie dimensioni e di varia nazionalità. E lui, maresciallo maggiore aiutante insignito del titolo di cavaliere, nel ringraziare della sorpresa il sindaco Andrea Miorandi e gli assessori Leone Manfredi e Gianpaolo Diacampi, si è commosso e una lacrimuccia l’ha versata. «Sappiamo quanto ha fatto per la città ed è giusto riconoscere chi ha dato tanto. Ho sentito parlare bene di lei, di certi recuperi pericolosi, del fatto che lei assaggiava pure l’esplosivo». Pronta la risposta: «Forse se sono arrivato agli 80 anni lo devo anche al tritolo che assaggiavo...»

E nella sua vita Capobianco, nato a Ponte Casalduni (Benevento)nel 1933 e arrivato in cità al comando della polveriera di Marco l’8 agosto 1961 fino alla pensione il 31 dicembre 1992, ne ha viste (di bombe) davvero tante. «Avevo la mia squadra bonifica con il maresciallo Pasquale Paladino, Bruno Perottoni e più tardi mio figlio Italo e avevamo un territorio vasto da coprire: le province di Trento, Verona, Vicenza, Rovigo, Mantova e Brescia. Ho avuto a che fare con bombe di tutti i tipi e di diversa nazionalità: dalle bombe a mano a quelle d’aereo. E ogni bomba era una storia a sé che richiedeva - racconta Capobianco - un trattamento specifico».

Bombe che venivano disinnescate in loco seguendo una lunga e delicata procedura o che venivano trasportate per far brillare in qualche cava o sullo Zugna. Da Avio a San Michele all’Adige, da Ala al Pont dei Vodi a Lavis, da Rovereto ai recuperi sul ghiacciaio Adamello Brenta. «I ponti sulla ferrovia lungo l’asta dell’Adige era nel mirino degli attacchi aerei. Ma poi andavamo a recuperare ordigni anche in montagna o in fondo al lago di Garda o bonificare aree». Una professione ad alto rischio, quella di Capobianco: «Non avevo paura, Importante era conoscere l’ordigno e pensare a come disinnescarlo. Non sempre era semplice e nelle situazioni più difficili mi sono fermato anche giorni». I momenti più brutti? «Il periodo del terrorismo e degli attentati ai tralicci in Alto Adige. Non sapevi quel che trovavi e rischiavi di saltare su una mina. Quando uscivo di casa guardavo mia moglie e non sapevo se venivo di ritorno». Ma ora è qua a festeggiare gli 80 anni con la moglie Franca Vesentini, i figli Italo, Roberta con Dino, Giovanna con Gianni, Giuseppina con Vincenzo e i nipoti Daniele, Alessia e Nicole «i miei gioielli».(g.r.)













Scuola & Ricerca

In primo piano

Film Festival

Lo scioglimento dei ghiacciai nella poetica del teatro trentino

La Stagione Regionale Contemporanea si conclude con “Rimaye” di AZIONIfuoriPOSTO, che stasera (3 maggio) darà spazio a un’indagine su ciò che è destinato a sparire e alla sua eredità, mettendo in relazione corpi umani e corpi glaciali. Entrambi infatti sono modificatori di paesaggio e custodi di memorie


Claudio Libera