IL PERSONAGGIO

Il bancario che sogna di diventare il nuovo Stephen King 

Lavis, Corrado Campestrini lavora come vice direttore alla Cassa Rurale Ha appena pubblicato il suo primo giallo, tutto trentino: “Nel nome di Alice”


di Daniele Erler


LAVIS. «Con questo libro un sogno l’ho già realizzato. Però ci sarebbe un sogno più grande: far diventare la passione per la scrittura un lavoro. So che è difficile, soprattutto alla mia età. Ma è bello avere dei sogni». Corrado Campestrini stringe fra le mani il suo primo romanzo: “Nel nome di Alice”, pubblicato da Curcu e Genovese. Ha 49 anni e due figli, è gardolotto di origine ma lavisano di adozione, vive a Pressano da ormai vent’anni. È laureato in Giurisprudenza, lavora in banca come vice responsabile dell’area crediti alla Cassa rurale di Lavis. Ma nel tempo libero continua a leggere e soprattutto continua a scrivere: dai primi esperimenti, quando ancora non usava il computer ma la macchina da scrivere, fino al romanzo d’esordio, un noir tutto ambientato in Trentino. “Nel nome di Alice” è la storia della scomparsa improvvisa di tre bambini e delle indagini che ne seguiranno. Il libro sarà presentato per la prima vota venerdì, il 18 gennaio alle 20.30 in biblioteca a Mezzocorona.

Campestrini, quando ha iniziato a scrivere?

Ho sempre avuto la passione per la lettura: me la porto dietro da quando ero ragazzo, sin dalle scuole medie. Poi piano piano è subentrata anche la passione per la scrittura. Leggevo molto Agatha Christie: durante le superiori ho fatto il mio primo esperimento, provando a scrivere un giallo. Ai tempi usavo ancora la macchina da scrivere. Poi nei primi anni Duemila mi sono cimentato nel primo romanzo. L’ho fatto leggere ad alcuni amici, ma non andava bene. Aveva alcune parti che erano troppo pesanti.

È rimasto nel cassetto?

Sì e ho iniziato a scrivere un altro libro, da zero. È così che è nato “Nel nome di Alice”. È un thriller ambientato in Trentino e parla del rapimento di tre bambini. La storia si sviluppa sulle indagini, con le forze dell’ordine che all’inizio brancolano nel buio. Ma poi ci sono dei colpi di scena.

Che noi non sveliamo.

No, anche perché il finale è a sorpresa.

Per lavoro, alla Cassa rurale, si occupa di tutt’altro. Quando è riuscito a scrivere il libro?

Nelle ore libere, nel dopocena soprattutto. Ora i miei figli sono più grandi, hanno 18 e 15 anni. Ma quando ho iniziato erano più piccolini e mi occupavano anche più tempo: così ho impiegato quattro anni per finirlo. C’è da dire che mentre lo scrivevo non pensavo che un giorno lo avrei pubblicato: è stato solo per passione, perché scrivere mi divertiva, mi portava via. Poi verso settembre mi sono detto: “Perché non portarlo a un editore?”. Da lì siamo arrivati alla pubblicazione.

Cosa l’ha ispirata?

Non c’è nulla di autobiografico, è tutta pura invenzione. Quindi semmai tutto nasce dalle mie letture: Agatha Christie, Ken Follett, Dan Brown e Stephen King.

Ma il suo romanzo è ambientato in Trentino.

Come quelli di Stephen King sono ambientati nel Maine, dove vive. I rapimenti della mia storia avvengono a Trento, Meano e Predazzo. Poi una parte importante si svolge in val dei Mocheni.

Dopo l’esordio spera di pubblicare altri libri?

Sull’onda dell’entusiasmo di questa pubblicazione, ho ripreso in mano anche l’altro romanzo, quello che avevo abbandonato nel cassetto. Lo sto riadattando e sto togliendo le parti che erano troppo pesanti, per renderlo scorrevole e magari pubblicarlo. Sarebbe fantastico che scrivere diventasse il mio lavoro. So che è quasi impossibile, però è bello avere dei sogni. E con la pubblicazione del primo libro un sogno l’ho già realizzato.

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