IL TERRORE

I trentini a Parigi: «Colpito il quartiere della movida»

Giacomo Sartori si chiede perché attaccare il rione popolare Silvia, Sara, Gaia, Giulia e Federica coinvolte nell’incubo


di Sandra Mattei


TRENTO. Il sentimento che prevale è l’angoscia di chi ha vissuto una notte da vera e propria scena di guerra e la preoccupazione di non sapere bene cosa aspettarsi per il futuro. I trentini che si sono trovati coinvolti nell’attacco terroristico più grave della storia della Francia, o perché a Parigi hanno scelto di viverci o perché studiano per un caso fortuito (o forse nemmeno) si trovano a gravitare proprio nella zona dove i terroristi hanno colpito in modo più pesante. È il quartiere che si trova tra Place de la Bastille e Place République.

È Giacomo Sartori, scrittore ed editorialista del “Trentino”, a cercare di dare una spiegazione alla logica che potrebbe stare dietro gli attentati. Una logica che apparentemente non c’è. «Abito a 200 metri dal ristorante “Petit Cambodge” - spiega l - e l’altra notte lì sono stati colpiti 14 clienti. Questo è un quartiere popolare, dove ci sono molti ristoranti e locali frequentati da giovani e studenti. C’è la “mixité”, la convivenza. Mi chiedo perché si sia voluto colpire persone che a rigor di logica dovrebbero essere più aperte e vicine alle rivendicazioni di questi giovani emarginati che vivono le differenze di classe come un’ingiustizia incolmabile. Ci sono quartieri invece dove si respira un clima di apartheid, dove si esclude chi non ha la pelle bianca e ha difficoltà a sopravvivere. Ma il terrorismo agisce senza nessuna logica». Anche Silvia Mattei, che a Parigi è arrivata per un dottorato su Voltaire ed ha trovato lavoro come assistente alla direzione di una galleria che si occupa di arte asiatica, frequenta assiduamente il quartiere dove si sono verificate le sparatorie contro gli avventori di ristoranti e bar. «Conosco il quartiere e ho frequentato anche il ristorante la “Petit Cambodge” ed altri di cucina asiatica, perché sono un’appassionata. È il quartiere della movida, frequentato da giovani, perché colpire loro? L’altra notte eravamo a cena con dei nostri amici che abitano lì, in un ristorante di fronte a casa loro, quando abbiamo iniziato a sentire gli spari. Il ristoratore ha abbassato le serrande e noi siamo usciti solo perché potevamo attraversare la strada per arrivare a casa loro. Non ci siamo mossi di lì e io e il mio compagno siamo tornati a casa solo stamattina (ieri, per chi legge)». Aggiunge che oggi non si muoverà di casa, perché la galleria dove lavora è chiusa come tutte le altre a Parigi e come i musei. «Una situazione irreale», commenta.

Gaia Faustini è a Parigi per un corso in Economia e la notte degli attentati si trovava in centro con Giulia Belli e Federica Di Giorgio che erano andate a trovarla. «Sto in un campus universitario fuori città, ma per riuscire a tornare lì abbiamo dovuto cercare un taxi, mentre le strade erano attraversate da ambulanze e auto della polizia. Le mie amiche sono venute con me, perché non potevano andare in albergo. È stato un incubo, arrivata in camera e calata la tensione, non ho potuto trattenere le lacrime». Venerdì sera era fortunatamente a casa con il suo compagno, a Montreuil, Sara Rauzi, che lavora in un atelier di abiti da sposa proprio di fronte al Bataclan: «È un quartiere che frequentiamo abitualmente, siamo ancora sotto shock. Due attentati così in meno di un anno non te li aspetti. Contro Charlie Hebdo si era voluto colpire un obiettivo, qui si colpisce a caso, e questo fa ancora più paura. E spiazza pensare che gli attentatori ancora una volta sono ragazzi. Erano francesi quelli che hanno attaccato Charlie, ma in Francia c’è stata poca presa di coscienza. È più comodo pensare a un nemico esterno, ma le banlieu parigine restano dei ghetti».













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