I residenti si arrendono:  addio al vecchio cedro malato 

Bolghera. Il maestoso albero è stato abbattuto nei giorni scorsi: aveva 70 anni ed era deperito  probabilmente a causa dell’armillaria. Gli agronomi hanno consigliato la demolizione


Jacopo Strapparava


Trento. Sono tempi strani e agli alberi, ultimamente, succede di tutto. C’è chi li venera e ci danzerebbe attorno, come ad un totem indiano (per loro, ironizzava Giorgio Gaber, «la cosa più importante è abbracciare le piante»). C’è chi grida: «Guai a toccarli!», gettando nello sconforto il povero assessore cui tocca fare i lavori pubblici. C’è chi, invece, in qualche caso, se ne vuole sbarazzare, spingendosi anche – nottetempo - a iniettarvi veleno (vi sembra assurdo? Guardate su Google, se non ci credete: di alberi avvelenati, le cronache sono piene).

Questa vicenda, però, è diversa. «È una breve storia triste» dicono dalla Bolghera. Tre giorni interi - lunedì, martedì e mercoledì – è durata l’agonia di un vecchio cedro del Libano. Da quasi settant’anni, sicuro e maestoso dietro un cancello, nel cortile privato tra due palazzine, abitava qui, circa a metà di via Niccolò D’Arco, subito dietro il Fersina. Lunedì sono arrivati con un furgone bianco e una gru e hanno cominciato. Via i rami, a uno a uno. Tagliati di netto e calati a terra con delle corde. Poi il fusto, che superava le case. Fatto a pezzi con la motosega, e all’improvviso non c’era più.

«Deperimento diffuso per probabile armillaria, ostruzione dei vasi conduttori» era stato il giudizio degli agronomi: «Non esistono rimedi. Si consiglia l’abbattimento». E così è stato.

«Si staccavano le cortecce, stava morendo piano piano» dice una signora che abita qui, affacciandosi al balcone. A questo civico, nelle due casette, abitano sei famiglie, perlopiù di anziani. Una di loro, per dire, abita qui da più di trent’anni. Del loro cedro, raccontano, si erano presi cura. Come quando, cinque anni fa, si stava allargando nel giardino del vicino. «È sano e robusto» avevano detto gli uomini che l’avevano potato.

«Certo che siamo dispiaciuti, era una pianta meravigliosa, in città ce ne sono sempre meno» dice ancora la signora dal balcone, prima di salutare e di chiudere la finestra. Certo, fa tristezza, vedere – di colpo - tutto questo vuoto, dove prima c’erano le fronde. E sbaglierebbe chi, alzando le spalle, dicesse: «Ma che importa, era solo un albero». È una questione più complicata: ha a che vedere con le abitudini, con il passare del tempo, con il fascino strano delle cose vecchie che, quando svaniscono, qualcosa muore anche in noi.















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