ambiente

I Pfas finiscono dalla Maza nel fiume Adige

Sostanze chimiche pericolose dalla discarica di Arco al depuratore che non depura: tutto in acqua. Ma l'Agenzia per l'ambiente rassicura


Andrea Tomasi


ARCO. Pfas, bugie e mezze verità. Nell'Alto Garda la stagione turistica è già partita: turisti italiani e stranieri, in auto o in sella alle loro bici, passano vicino alla discarica della Maza (territorio comunale di Arco) allegramente inconsapevoli. Si intravede il cantiere del collegamento Loppio-Busa, che tange con il suo tunnel proprio l’area destinata al deposito di rifiuti. L’olfatto ne risente, ma ci sono sostanze inodori, incolori e insapori che possono essere molto più pericolose di ciò che puzza. Sono i Pfas, perfluoroalchilici, impermeabilizzanti indistruttibili, che vengono utilizzati per rendere impermeabili tessuti, pellicole, pentole e schiume anti-incendio.

In Veneto è in corso un processo per inquinamento delle acque e disastro innominato: fra le province di Vicenza, Padova e Verona è stata compromessa una falda idrica grande come il Lago di Garda. Una lunga esposizione ai Pfas può causare malattie gravi (tumori, infertilità, uno sviluppo anomalo dell’apparato genitale dei bambini). Nella discarica Maza ad Arco i Pfas ci sono, in quantità. La falda acquifera non è compromessa perché - informazioni fornite nei giorni scorsi dai vertici Appa (Agenzia provinciale protezione dell’ambiente) - la barriera idraulica e il sistema di raccolta del percolato funzionano. Il danno è stato contenuto, a differenza di quanto accaduto in Valle del Chiese dove una falda è compromessa e ora monitorata. L’altro caso di inquinamento importante da Pfas si ha nell’area ex Gallox a Rovereto.

Ma torniamo ad Arco dove, nonostante le massicce dosi di camomilla somministrate alla popolazione, si è tutto tranne che tranquilli. Nella Maza infatti - che non è stata oggetto di bonifica (queste sostanze non sono state eliminate, si veda per dettagli il piano rifiuti deliberato dalla giunta provinciale) - i Pfas, dicevamo, ci sono. Sono là almeno dall’aprile 2019, quando venne fatto un rilevamento sul percolato in uscita. Il percolato è il liquido che si forma alla base della discarica a seguito di piogge e con il contatto con acqua di sorgente: è ciò che rimane del trascinamento verso il basso dei rifiuti attraversati dall’acqua. Un rapporto di prova - di cui abbiamo scritto su questo giornale - della primavera 2019 riporta un dato sconcertante: una concentrazione di 7800 nanogrammi/litro di Pfas. Dati certificati e confermati.

I perfluoroalchilici ci sono ancora: non nell’acqua di superficie del rio Salone, che si i trova subito sotto (i Pfas vanno dove va la corrente), non nell’acqua di falda (da quanto risulta), ma nel percolato. Quando il serbatoio della discarica si riempie viene raccolto e trasferito nei mezzi autobotte: camion cisterna che dalla Maza vanno al depuratore di Rovereto.

Tutto a posto? Per niente, perché il depuratore i Pfas non riesce a bloccarli. E dove finiscono? Nello specifico nel fiume Adige. Problema “risolto” con la diluizione. Insomma ce ne laviamo le mani: affidiamo i Pfas alle acque del fiume che farà il suo corso. Cittadini veneti (che già ne avrebbero abbastanza), pesci e ambiente in generale ringraziano. Ricordiamo che quelli di cui parliamo sono contaminanti persistenti. In una terra come il Trentino, dove a livello turistico si promuove l’immagine dell'ambiente incontaminato e si parla di una “efficienza della pubblica amministrazione che gli altri ci invidiano” scarichiamo queste sostanze in acqua conoscendone la pericolosità.

Manca forse una normativa? No. Esiste il regolamento europeo 1021/2019 che vieta il rilascio nell’ambiente delle sostanze organiche persistenti. Non ci sono sanzioni. C’è però un chiaro riferimento al bioaccumulo nella catena alimentare. L’Ue ha anche approvato un protocollo in materia. Vige il principio di non diffusione nell’ambiente di queste sostanze. Lo Stato deve peraltro tenere inventari circa il rilascio delle sostanze. Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Appa ha parlato della bonifica della Maza, non si è detto però che in materia di Pfas non c’è alcuna bonifica. Non si è spiegato che il percolato, che è a tutti gli effetti un rifiuto, viene rilasciato, facendo finire i Pfas nel fiume Adige. Il depuratore non depura. La domanda è: esiste un modo per bloccare i Pfas?Sì. In Veneto ad esempio si usa il sistema dell’osmosi inversa: c’è una membrana in polimeri che blocca le molecole; funziona come un rene, per cui i Pfas, in acqua, vengono sottoposti a pressione con un pistone, l’acqua passa ma i Pfas no. I nostri Pfas (provenienza ancora sconosciuta) nuotano liberamente nel fiume.

 













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