il caso

Guerra, siccità, stagionali: un anno da allarme rosso per l'agricoltura trentina

Costi su del 30%, c'è chi ha rinunciato a parte degli appezzamenti e chi ha raccolto in ritardo. Il settore conta 8mila aziende e occupa 55 mila persone. Il 60% dei lavoratori arriva dall'Est Europa


Ilaria Puccini


TRENTO. È ormai in chiusura il 2022 dell'agricoltura in Trentino, un settore che nella nostra provincia conta circa 8000 piccole e grandi aziende e che, secondo i dati Inps, occupa oltre 55mila persone nel corso dell'anno, tra viticoltura, frutticoltura, allevamento e agritur - giusto per citare i principali ambiti - più i lavori stagionali di raccolta e vendemmia, che da soli richiamano oltre i due terzi della forza lavoro.

Che sia stato un anno difficile è noto: la guerra in Ucraina si è ripercossa sui costi dell'energia e delle materie prime, come concimi e foraggio, con ricadute pesanti soprattutto sull'allevamento; poi è arrivata l'estate, una delle più calde e siccitose di sempre (per Meteotrentino seconda solo a quella del 2003), che ha costretto gli agricoltori a ricorrere all'irrigazione artificiale dei campi ai costi esorbitanti sulle bollette noti a tutti.

«Per il 2022 abbiamo stimato un rincaro del 30% sulle nostre attività - riferisce il presidente di Coldiretti Trento Gianluca Barbacovi - e le realtà più piccole non hanno retto l’urto. Numerose stalle hanno chiuso, mentre è andata meglio alla produzione di mele e vitivinicola».

Alle nuove poi si sommano vecchie difficoltà: tanto quanto il turismo, l’agricoltura si regge sul contributo di decine di migliaia di stagionali. Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia: «Un buon 60% di lavoratori proviene dall'Est Europa» spiega Barbacovi. O, forse, proveniva. Covid, confini chiusi e sviluppo economico dei Paesi di origine negli ultimi anni hanno bloccato o offerto opportunità considerate più appetibili agli stagionali dell’agricoltura trentina, soprattutto nella raccolta, soggetta a scadenze (e contratti) a breve o brevissimo termine.

«Certe aziende, per mancanza di personale, hanno abbandonato parte degli appezzamenti, o raccolto in ritardo con il conseguente deterioramento delle colture» racconta Matteo Trentinaglia di AcliTerra.

Anche in agricoltura esistono strumenti per cercare di tamponare queste mancanze: dalle campagne di reclutamento dell'Agenzia del Lavoro alle quote del decreto "flussi" che permettono ai datori di lavoro di cercare personale dai paesi extra-Ue.

Tuttavia, in assenza di strumenti o incentivi efficaci, si insediano illegalità e sfruttamento. E il Trentino non fa differenza con il resto d'Italia: «Nell'anno del Covid, la mancanza di emigrazione regolare ha lasciato degli spazi che sono stati riempiti» spiega Fulvio Giaimo di Uil Agricoltura. «Tra le irregolarità più diffuse ci sono le paghe orarie “ad personam” e il mancato rispetto dei minimi contrattuali - denuncia il sindacalista - Vengono da noi e lamentano giornate non riconosciute, turni da 5 ore quando ne hanno lavorate 10, o paghe da raccoglitori, che sono le più basse, anche per altri incarichi». La retribuzione minima oraria, rinegoziata quest'anno, è di 8,41 euro lordi per la raccolta di frutta e vendemmia e di 9,28 euro per la raccolta e coltivazione di piccoli frutti. «In altri casi vengono trattenuti i soldi riservati a vitto e alloggio, senza che siano forniti».

In questi giorni si parla anche di reintroduzione dei voucher nella legge di bilancio: uno strumento che piace ai datori di lavoro per la possibilità di compartimentare le paghe, ma che in passato è stato spesso oggetto di abuso: «Come sindacato restiamo fermamente contrari - conclude Giaimo - per l’imprevedibilità del carico lavorativo esiste già la clausola delle giornate presunte in contratto. Un lavoratore firma e può sempre denunciare i giorni non lavorati. Con i voucher, invece, se a fine giornata non arriva il controllo, io datore posso restituirli e dire che la persona semplicemente non si è presentata al lavoro, ma magari c’era e l’ho pagata in nero».

Per evitare questa e altre irregolarità, due anni fa è stato ampliato l’organico del servizio ispettivo. Una misura che però, vista la conformazione territoriale del Trentino e il numero di addetti, rischia di essere una goccia nel mare. O un ago in un pagliaio.

 













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