il caso

Gnesetti fu licenziata senza giusta causa

Ma per i giudici d’appello Itas poteva farlo, perché il comportamento della dipendente aveva minato il rapporto di fiducia


di Luca Marognoli


TRENTO. Alessandra Gnesetti fu licenziata senza giusta causa, ma Itas aveva tutto il diritto di farlo, perché il suo comportamento aveva fatto venire meno la fiducia tra datore di lavoro e dipendente. Lo affermano i giudici della Corte d’appello di Trento nelle motivazioni della sentenza con la quale l’ex responsabile delle risorse umane e referente per gli acquisti di oggetti promozionali della società si è vista riconoscere un’indennità sostitutiva del preavviso di 10 mensilità più altre 12 a titolo risarcitorio.

Non vi fu giusta causa poiché Itas - secondo il collegio giudicante presieduto da Maria Grazia Zattoni - «procrastinò volontariamente il licenziamento» anche dopo l’accertamento da parte del giudice dell’illegittimità del demansionamento della dipendente. Lo fece per «evitare di dare evidenza esterna all’illecito», trattandosi di vicenda che coinvolgeva anche altre figure di vertice come l’allora direttore Ermanno Grassi, che la società non aveva interesse a pubblicizzare: da qui la decisione della Corte di qualificare la misura assunta come “licenziamento per giustificato motivo soggettivo”, con la conseguenza che a Gnesetti spetta l’indennità sostitutiva del preavviso.

Demansionamento «illegittimo». I giudici definiscono il demansionamento alla quale la donna era stata sottoposta «sicuramente illegittimo», aggiungendo però che ciò non toglie che «la lesione dell’elemento fiduciario nelle mansioni precedentemente ricoperte fosse definitiva» e «fosse stata comunicata alla lavoratrice». Perciò il licenziamento, «benché sicuramente tardivo - scrive la Corte - non può ritenersi nullo». Il datore di lavoro infatti non rinunciò al suo potere disciplinare (per il fatto che fosse stato raggiunto un accordo verbale sul cambiamento delle mansioni, come sostenuto dalla stessa Gnesetti). E il venir meno della fiducia - si precisa - è motivo «esistente ed apprezzabile» di licenziamento. La «tardività» invocata dall’ex dipendente va invece «ricondotta ad un vizio meramente procedurale».

«Vantaggi personali». Nella sentenza Gnesetti viene definita «corresponsabile delle irregolarità nella gestione del servizio» del quale era responsabile e che aveva effettuato acquisiti per 388 mila euro nel 2013 e 47 mila nel solo gennaio 2014. Non solo: per i giudici deve ritenersi provato che la dipendente «abbia anche personalmente beneficiato» dei beni di lusso comprati, anche se non è emerso in quale misura. E lei stessa «ha chiaramente riconosciuto», seppure «minimizzando la sua posizione» rispetto a quella di altri dipendenti, di avere «approfittato a proprio vantaggio del sistema».

Grassi «infedele», Di Benedetto «tempestivo». Quanto al direttore Grassi, per i giudici la sua condotta fu «gravemente infedele nei confronti di Itas nella gestione degli acquisti» ed è «inverosimile ritenere» che il budget elevato a disposizione di Gnesetti «potesse essere continuativamente impiegato, in assenza di rendiconto, alla Gnesetti senza che il Direttore Generale le chiedesse giustificazioni».

Mentre la reazione di Itas fu, secondo la Corte, «del tutto tempestiva», poiché il presidente Di Benedetto «una volta messo a conoscenza dei fatti, «contestò immediatamente» a Gnesetti, già a fine luglio 2014, l’addebito di appropriazione, anche se solo in forma orale.

Dal colloquio fra il presidente e la dipendente, risulta chiara per i giudici di appello che «Itas si trovava in una posizione di difficile gestione», considerando da un lato «il coinvolgimento nella vicenda di varie figure apicali (ivi compreso il suo direttore generale) di fatto chiamate in correità dalla donna, e dall’altro «la necessità di assumere provvedimenti verso la dipendente». Itas decise quindi di mantenere riservata la vicenda «scegliendo una soluzione intermedia»: face però un «uso non consentito del potere disciplinare» trasferendo e demansionando Alessandra Gnesetti.













Scuola & Ricerca

In primo piano