Generale senza colonnelli Fine amara di un sodalizio

L’ex governatore: «Verso di me poca riconoscenza». L’amarezza di Gilmozzi: «Lo abbiamo sempre appoggiato. Se non c’è più fiducia, meglio separarsi»



TRENTO. Hai voglia a dire che in politica non ci si sposa, e quindi gli accordi possono essere trovati anche all’ultimo minuto utile, anche quando le fratture appaiono ormai insanabili e dopo settimane di violente accuse reciproche. Ci sono momenti - per fortuna - in cui emerge che la politica è fatta anche e soprattutto di rapporti personali, verrebbe da dire di amicizie. «È una bruttissima giornata», commentava ieri a fine mattinata un Mauro Gilmozzi provato, uscendo dal Centro congressi. Lui, uno di quel «gruppo di colonnelli» che, ha ricordato Lorenzo Dellai, hanno condiviso con «il Generale» un percorso quasi ventennale ma che poi hanno scelto di non sostenerlo più, e di appoggiare Mellarini.

Se ieri, dietro l’armatura che maschera timidezza ed emozioni, al termine del suo discorso Dellai sembrava commosso, Gilmozzi appariva umanamente scosso. Ferito da quell’accusa, di essere un colonnello che ha abbandonato il generale: «Io non sono mai stato colonnello di nessuno, quello che ho fatto l’ho fatto per convinzione. Le strade possono anche separarsi, ma così, con il rancore che Lorenzo oggi ha dimostrato, si rovinano anche i rapporti personali dopo vent’anni insieme. Sono deluso, e dispiaciuto. Questo è un conflitto di fiducia, non politico. E se la fiducia non c’è più, allora meglio che ognuno vada per la sua strada». Dellai ha iniziato il suo discorso parlando di «deficit di riconoscenza che non mi lascia indifferente sul piano dell’esperienza umana». Gli risponde Gilmozzi: «E la sua di riconoscenza dov’è? Noi lo abbiamo sempre sostenuto anche quando si è imbarcato in progetti improbabili, lo abbiamo difeso quando è andato con Monti e lo accusavano di aver svoltato a destra». Fiducia e politica, appunto. Ma per Gilmozzi un’era si è chiusa: «Io voglio un partito vero e plurale e non può esserlo finché l’Upt resta un comitato elettorale».

L’ex governatore accusa il gruppo consiliare di aver contrapposto la candidatura di Mellarini alla sua e diventando così «una parte in concorrenza con l’altra» abdicando a rappresentare in modo unitario le istituzioni. «Non c’era bisogno di occupare quasi militarmente il partito - attacca - di garantirsi una blindatura che dovrebbe invece lasciare il posto a un sostegno critico ma leale alla giunta». «Mai - rivendica - abbiamo lasciato soli o delegittimato i nostri assessori e consiglieri, anche nei momenti contraddittori dell’azione di giunta».

Ma la frattura è consumata, gli ex colonnelli hanno voltato pagina. «C’è gente che non accetta i diktat di una persona e dei suoi adepti», è la replica al veleno di Mellarini, che pure ieri nel suo intervento ha evitato qualsiasi cenno allo strappo di Dellai leggendo il discorso tale e quale a come l’aveva preparato, dove aveva detto: «Il nostro è un progetto che si basa su leadership diffuse e non più su un’idea di leader carismatico». Ma a margine il giudizio su Dellai è senza sconti: «Certo che dispiace. È mancato il rispetto per 2600 iscritti, il confronto si porta avanti fino alla fine rispettando il responso. Lui se n’è andato e ha dimostrato com’è stato utilizzato il partito...». Io a destra? «Veramente è stato Dellai che in passato ha ventilato alleanze anche con Alfano». Accuse e controaccuse. Il sodalizio ventennale questa volta sembra davvero al capolinea.

(ch.be.)













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