Gardolo, una scuola per il mondo

Viaggio alle medie Pedrolli, l'istituto che insegna al Trentino l'integrazione


Luca Marognoli


TRENTO. Abdul è arrivato dalla Nigeria un anno e mezzo fa e le prime parole di italiano - pallone e calcio d'angolo - le ha imparate al parco, ama la ginnastica («tutto tranne il basket») e la geometria perché - dice - prende bei voti. Tifa Inter e i suoi preferiti sono Eto'o e l'ex Balotelli. Lovepreet è indiano, di religione Sikh, e a casa parla il Punjabi, ma ti fa lo spelling del nome in inglese.
Safìa, di famiglia algerina, è nata in Italia e in testa ha un bellissimo foulard pieno di rose stampate. A casa, racconta un po' timida, ne ha una cinquantina, tutti coloratissimi, che scambia con la mamma. Poi c'è Eléna, un'"eccellenza" dice la maestra Barbara: prende 9 o 10 in tutte le materie ed è una piccola campionessa di ballo. La lingua è prima una barriera, poi diventa un modo per fare amicizia. Sara & Sara, 13 anni, trentine doc, sono fiere di aiutare a pronunciare correttamente le parole al compagnetto indiano arrivato da poco e di studiare con una ragazzina siriana che l'italiano lo parla bene come loro.
Verso il 50%. Alle medie Pedrolli di Gardolo, 6 corsi e 18 classi, gli stranieri sono 118 su 432, il 27%. Tanti: uno su quattro. Ma tra un paio d'anni saranno molti di più: le elementari Pigarelli, che fanno parte dello stesso istituto comprensivo e sono aldilà della strada, hanno 166 alunni non trentini su 355, il 46,76% del totale. A un passo dalla parità.
E' la scuola del futuro quella di Gardolo, quella di un'Italia - e di un Trentino - a crescita zero, che devono attrezzarsi per diventare un melting-pot di culture ed etnie. Un futuro che qui è già presente, perché siamo nel quartiere più multietnico della città, frontiera dell'integrazione dai tempi delle prime ondate migratorie, e perché da dieci anni questa scuola è diventata un vero e proprio laboratorio di convivenza. «Abbiamo la fortuna di stare in un quartiere come questo, che ci ha fatto delle richieste di tipo educativo molto forti, e anche di avere delle persone che a queste richieste sanno dare risposte», dice Lina Broch, referente per i "bisogni educativi speciali", cioè per quello che più comunemente si dice sostegno.
Quartiere multietnico. Qui la scuola ha fatto da supplente della famiglia per la "classe lavoratrice", offrendo ai ragazzi attività e occasioni di incontro pomeridiane. Poi c'è stato il fenomeno stranieri. «Nel decennio scorso erano ancora pochi, provenienti dal Maghreb e dall'ex Jugoslavia», puntualizza la maestra. Il boom è arrivato con il nuovo millennio. Barbara Baraldi, referente per gli studenti di madrelingua non italiana, ha il quadro dettagliato: «I primi sono stati gli albanesi, poi sono venuti sudamericani ed europei dell'Est (soprattutto di Romania, Moldavia e Ucraina), mentre nell'ultimo periodo stiamo assistendo a un'ondata di famiglie dei Paesi centroafricani: Senegal, Costa d'Avorio, Camerun, Burkina Faso. Tantissimi i pakistani, presenti ormai da 7-8 anni, ma si vede anche qualche raro cinese e filippino». Anni fa c'erano le prime generazioni, oggi siamo alla seconda, in qualche caso alla terza, «ma servono lo stesso tante attenzioni - continua Baraldi - perché a casa i ragazzi parlano la lingua madre».
Educazione su misura. Gli educatori delle Pedrolli hanno accumulato una vasta esperienza. Accompagnata da una grande passione, che emerge anche dall'entusiasmo con cui parlano delle diverse iniziative che sono state attivate. «Cerchiamo prima di tutto di capire il bisogno di ogni singolo alunno», dice la vicepreside Maria Videsott. «Il percorso educativo-didattico di ciascuno viene personalizzato. E questo è il nostro punto di forza». La personalizzazione si innesta su una base comune: i corsi intensivi di italiano come seconda lingua a diversi livelli (base, consolidamento e lingua dello studio) e il laboratorio di matematica, tenuto da docenti appositamente formati e dedicato in particolare ai ragazzini di terza che si preparano per gli esami. Sei delle trenta ore curriculari si fanno nell'aula "intercultura".
Alcuni ragazzi incontrano delle difficoltà, che possono derivare da ragioni culturali ma anche sociali e familiari (come l'analfabetismo dei genitori). A soccorrerli c'è l'insegnante di sostegno, che passa 9 delle 30 ore a fianco dello studente. Ma per qualcuno servono risposte diverse e nuove.
Non solo zitti e seduti. «Quella di stare nei banchi seduti, fermi, zitti, con un insegnante alla lavagna non è l'unica formula possibile perché i ragazzi possano stare dentro un contesto di regole e insegnamento», dice Broch. E allora ecco i laboratori - di cucina, falegnameria, legatoria, giardinaggio e recupero biciclette - che permettono di sostituire dalle 2 alle 4 ore tradizionali con attività manuali in cui si imparano le materie con un linguaggio diverso: le misure matematiche impostando i rapporti di una bici, spiega Alessandro Bezzi della cooperativa Kaleidoscopio, o l'arte costruendo le sedie di Van Gogh, aggiunge la collega Irene Grazzi. «Il consiglio di classe lavora in stretta collaborazione con i laboratori», concludono Broch e Videsott. «Questo sistema dà grandissimi risultati. Fino a 5-6 anni fa i ragazzi che uscivano dalle Pedrolli andavano quasi esclusivamente alle professionali. Oggi sono sempre di più quelli che si iscrivono al liceo e alcuni escono con il massimo dei voti».

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