Festival economia, Rampini"E' la Cina il paese del futuro"



TRENTO. Informazione e sviluppo economico, due punti di vista ben distinti da dove osservare il mondo. Economicamente, oggi è l’Asia il laboratorio della modernità, dove tutto è proiettato verso il futuro. L’America, invece, si distingue nella libertà di informazione e di stampa: «I potentati economici influiscono, ma sempre meno che da noi» spiega Federico Rampini, corrispondente de La Repubblica, da New York. Rampini ha vissuto da vicino queste realtà e, in attesa di approdare a Trento per il Festival dell’Economia, analizza la situazione attuale.
 Dal suo osservatorio privilegiato, che visione ha della realtà mondiale sotto il punto di vista economico?
 Oggi la Cina è il Paese più proiettato verso il futuro. E’ un Paese all’avanguardia, anche per la modernizzazione delle infrastrutture. L’America ha perso molti colpi, è stata per certi aspetti distanziata anche da qualche caso europeo: nella corsa alle energie rinnovabili, ad esempio, la Germania è più avanti.
 Questo cosa significa?
Possiamo dire che, dal punto di vista economico, le gerarchie della modernità si stanno evolvendo non in favore dell’Occidente, ma piuttosto verso l’Oriente.
 E per quanto riguarda l’informazione?
Il discorso è ben diverso: la natura autoritaria del regime cinese continua ad imporre delle restrizioni notevoli alla circolazione delle informazioni e ne abbiamo avuto una prova clamorosa con la decisione di lasciare il mercato cinese, presa, a malincuore, da Google anche come protesta nei confronti della censura.
 Nell’era di internet e della conoscenza, cos’è imprescindibile per una vera democrazia?
 Sicuramente la massima libertà di espressione, di stampa e d’informazione. Di conseguenza, per i cittadini, la libertà di fruizione e di accesso alle informazioni. Ogni volta che si creano dei paletti alla libera circolazione delle informazioni, la democrazia ne esce diminuita.
 Come si comportano i vari Paesi?
 In alcuni casi - e la Cina è uno di questi casi estremi - non si può proprio parlare di democrazia: lì manca il presupposto fondamentale, che è la libertà di informazione e di espressione. Se parliamo dei Paesi che noi definiamo liberal democratici (e quindi anche l’Occidente) ci sono un ventaglio di livelli di libertà di informazione, poiché esistono vari ostacoli di varia natura.
 Che tipo di ostacoli?
 Uno è la concentrazione monopolistica od oligopolistica dei mezzi di comunicazione, che rappresenta un pericolo reale. Ciò, in Italia, è più accentuato che in qualsiasi altro paese dell’Occidente. Negli Stati Uniti, probabilmente, il livello di tutela della libertà è più alto che altrove: il primo emendamento della Costituzione americana è uno dei meglio applicati di questa carta.
 I potentati economici e politici degli Stati Uniti condizionano il mondo dell’informazione?
 Con una battuta verrebbe da dire: “Sì, ma molto meno che da noi”.
 Esistono però dei condizionamenti?
 Ci sono certamente dei condizionamenti, la proprietà dei mezzi di informazione fa capo a dei grandi gruppi economici. C’è il caso di Rupert Murdock che possiede la televisione Fox, possiede il Wall Street Journal e un tabloid newyorchese, ma questa è comunque una situazione policentrica, dove c’è una concorrenza tra diversi gruppi.
 La crisi della Grecia, a suo parere, è anche figlia di una cattiva informazione da parte dello stesso governo ellenico?
 Sì, cattiva informazione perché è stato dimostrato che i governi, in particolare nel 2001, bararono i conti della Grecia e presentarono dei dati “truccati” alla Commissione che doveva giudicare la Grecia negli esami di ammissione alla moneta unica.
 Quanto è ricorrente l’abitudine di diffondere informazioni distorte, che condizionano i mercati?
 E’ un vizio molto diffuso, perché naturalmente c’è da guadagnarci. E’ un crimine che paga, se riesce e rimane impunito. Qui sta la vera differenza tra un Paese e l’altro: è il livello di efficacia nella prevenzione e nella punizione di questi comportamenti. Per esempio l’America è un Paese in cui le punizioni sono severe, esemplari. Probabilmente è un Paese dove qualcuno ci prova sempre, però è raro che la faccia franca.
 A che punto siamo della crisi economica?
 Io credo che siamo ancora dentro una lunga crisi: basti vedere quello che è successo nell’euro zona per capire che ci sono ancora alcuni capitoli da scrivere. Poiché esiste un’area importantissima del mondo che non è mai entrata in crisi (soprattutto i due giganti Cina e India), bisognerebbe parlare di una crisi dell’Occidente - e di alcuni paesi legati all’Occidente come il Giappone - più che internazionale.
 Come si potrà uscire?
 Ne usciremo, credo, con alcuni cambiamenti di paradigmi di valori. C’è ancora una grande battaglia attorno al modello di sviluppo che ci porterà fuori dalla crisi. Ci sono poi forze che si oppongono politicamente. Si veda quello che è accaduto negli Stati Uniti, tra le riforme di Obama e l’opposizione della destra americana. Non è scontato capire con quale modello si uscirà. La fine di un certo consumismo sfrenato, materialismo edonistico, che può essere distruttivo dei valori, dell’ambiente, secondo me è già nei fatti.

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