LA STORIA

«Ecco il dramma di una famiglia che perde il lavoro» 

Il racconto di una donna di 50 anni: «Senza più stipendio anche le bollette possono diventare un incubo»


di Andrea Selva


TRENTO. La storia di Antonella, 50 anni, è quella di migliaia di “invisibili” che per «rimanere a galla» (la definizione è sua) devono accantonare l’orgoglio e chiedere aiuto per riuscire a mettere qualcosa in tavola e pagare le bollette. Sono 3 mila - per citare un dato - le persone che ogni anno bussano alle porte della Caritas trentina per chiedere alimenti, vestiti o un aiuto economico per arrivare a fine mese. E secondo il servizio statistica della Provincia in Trentino il 5% delle famiglie è in stato di grave deprivazione materiale, che vuole dire non riuscire a soddisfare i bisogni essenziali, né (tantomeno) fare fronte a una spesa imprevista. E sono 8 mila, sempre in tema di situazione economica, i nuclei familiari che secondo la Provincia possono contare su entrate così basse che il prossimo anno avranno diritto al cosiddetto “assegno unico”.

Antonella, quando ha cominciato a girare tutto storto?

Quando mio marito ha perso il lavoro. In famiglia eravamo in tre, vivevamo con uno stipendio, senza lussi ma senza problemi, ma quando i soldi hanno smesso di arrivare, senza parenti in grado di darci una mano, le cose si sono messe davvero male. Anche una bolletta da pagare o le spese condominiali arretrate diventavano ostacoli insopportabili, tanto più quando la situazione si è aggravata in seguito a problemi di salute.

A quel punto che hai fatto?

Ho chiesto aiuto. Non è una cosa facile, gli uomini ad esempio fanno molta fatica mentre noi donne siamo più portate a parlare dei nostri problemi, non ne facciamo una questione di dignità.

E chi ha risposto?

Si è messa in moto una specie di catena di solidarietà: le amiche mi segnalavano piccoli lavori di pulizia che mi sono serviti per guadagnare qualcosa e risolvere l’emergenza, ma soprattutto mi sono rivolta alla Caritas.

Di che cosa avevi bisogno?

Di tutto: ho ricevuto i pacchi alimentari, i ticket per la spesa, ma avevo anche bisogno di qualcuno che mi pagasse le bollette, altrimenti non avrei saputo come fare. Con questi aiuti sono riuscita a tirare il fiato: c’erano giorni in cui mi chiedevo davvero come avrei fatto. Nella sfortuna sono stata fortunata, perché eravamo poveri davvero. Posso dirlo tranquillamente: per fortuna eravamo poveri.

In che senso?

Abitavamo in una casa Itea, l’affitto era di 70 euro al mese, ma per fortuna non eravamo proprietari di nulla, così il nostro indice Icef era molto basso e avevamo diritto a tariffe basse per tante cose, come la mensa della scuola. Conosco persone che avevano una situazione patrimoniale migliore della nostra (magari perché erano proprietari di un’abitazione decrepita) e proprio per questo si sono trovate in difficoltà ancora maggiori. Io dico che quelli sono “finti ricchi” perché hanno una casa, che magari non possono utilizzare, ma hanno bisogno di tutto.

Alla tua richiesta di aiuto hanno risposto solo le istituzioni?

No, anche persone amiche che hanno dimostrato una grande generosità. Ma voglio dire una cosa ai genitori dei ragazzi trentini.

Che cosa?

Di insegnare ai propri figli di portare rispetto anche per chi ha meno degli altri. Lo voglio dire ai genitori perché spesso sono loro il problema e non i nostri bambini e ragazzi.

Ci sono stati episodi spiacevoli?

No, siamo gente ottimista e che non si fa problemi: nostra figlia usa senza timori i vestiti che le passano le amiche, ci sono state occasioni in cui abbiamo ricevuto aiuti in modo molto dignitoso. Chi ci ha aiutato l’ha fatto senza farlo pesare minimamente, ma non è così con tutti, c’è anche chi ti lascia da parte se non hai la stessa disponibilità economica.

Ora il momento difficile è passato?

Sì, ma per la nostra famiglia è cambiato tutto. Ora abito con nostra figlia in un appartamento in affitto, ho un lavoro part-time che mi consente di guadagnare 500 euro al mese, ma ne spendiamo 350 di affitto. Ora per l’Itea non siamo abbastanza povere. Per fortuna possiamo contare su altri 200 euro di reddito di garanzia.

E riuscite ad arrivare a fine mese?

Sì, con 100 euro al mese riusciamo a fare la spesa nei supermercati dove i prezzi sono più bassi e solo quando i prodotti sono in offerta. E nei momenti di emergenza troviamo qualcuno che ci aiuta. Certo non c’è ristorante, non c’è auto, non c’è niente, ma va bene così: l’importante è andare avanti, cioè vivere. E devo dire che la Provincia ci aiuta quando si tratta di fare studiare mia figlia come tutti gli altri.

Sono tante le persone che vivono così?

Nel mio percorso ho conosciuto tantissime persone in difficoltà, ma la nostra società non se ne rende conto.

Perché?

Perché si tratta di una “povertà media”, che non si vede. La gente si accorge di un povero quando finisce sulla strada e chiede l’elemosina: a quel punto la vergogna passa in secondo piano e uno tende la mano. Ma ci sono tante famiglie in crisi che restano “invisibili” proprio perché si vergognano e quindi non chiedono aiuto.

È successo anche alla sua famiglia?

Io non ho avuto questo problema e sai cosa ti dico? Che non è una questione di orgoglio, anzi io sono stata orgogliosa di avere chiesto una mano perché è stato proprio questo che ci ha salvato. Altre persone possono restare travolte dalla propria disperazione. Succede soprattutto agli uomini, perché non c’è solo la vergogna nei confronti degli altri ma anche quella nei confronti della propria famiglia e un uomo si chiede: ma che razza di uomo sono? Le donne per fortuna ragionano in modo diverso, ne conosco tante, soprattutto straniere, che si sono sacrificate per la loro famiglia. Basta pensare a quelle che hanno lasciato i figli nell’est Europa per venire in Trentino a lavorare come badanti. Tutti conoscono la loro situazione, ma a modo loro queste donne sono “invisibili” pure loro.













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