Don Ciotti a Trento L’abbraccio ideale con don Dante

Una folla attenta alla messa in S.Pietro: «Giustizia significa condivisione con il prossimo. Clauser era tutto questo»


di Danilo Fenner


TRENTO. La tenerezza e il graffio. Un ossimoro che sarebbe piaciuto molto a don Dante Clauser, lui che non la mandava a dire a nessuno, ma che era capace anche di una profondissima umanità. Ieri erano in tanti, ad affollare la chiesa di San Pietro a Trento, per la messa in suo ricordo celebrata da un amico d'eccezione, don Luigi Ciotti.

La tenerezza, dunque: quella dell'abbraccio fra Don Ciotti e Piergiorgio Bortolotti, erede di don Dante al timone del Punto di Incontro di Trento. Un abbraccio intenso, stretto, fraterno. E il graffio: quello delle parole che hanno risuonato per tutta la celebrazione di ieri sera, intrecciando la testimonianza di don Ciotti a quella dell'amico scomparso due anni fa, più volte citato. Sentite qua. Questo è don Dante, in suo commento al Vangelo (il celebre passo “ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero assetato e mi avete dato da bere”) letto ieri prima dell'omelia: «Le opere di misericordia non mi piacciono». Così, di botto. E poi: «Compassione è mettersi alla pari, è camminare insieme, è vivere sulla propria pelle le difficoltà altrui. Io dico no alla mistica della povertà. Tutti i cristiani possono mettersi al fianco degli ammalati, degli stranieri, delle folle stanche e scoraggiate».

Altrettanta durezza e immediatezza nelle parole di don Luigi Ciotti: «Con don Dante amavamo citare spesso un grande vescovo, monsignor Tonino Bello, quando diceva: non mi interessa sapere chi sia Dio, mi basta sapere da che parte sta». E ancora: «Dobbiamo operare una saldatura fra terra e cielo. Una fede che si salda con la responsabilità civile. Per dirla con l'Abbé Pierre: ingiustizia non è la disuguaglianza, ma la non condivisione. Siamo chiamati ad accogliere gli altri, ma anche a riconoscere gli altri e a condividere. Dobbiamo però impegnarci di più. Chiediamo a Dio di darci una bella pedata, per stimolarci ad andare avanti. La prima dimensione della giustizia è la prossimità, la relazione a tu per tu con l'altro. Questa era don Dante».

Sarà stato per la portata immediata di queste parole o per la faccia scolpita e dura di don Ciotti. In ogni caso quella di ieri sera è stata una messa insolita, sicuramente intensa e vibrante, percorsa da una tensione continua. Don Ciotti, così come “il Dante dei poveri e dei dimenticati”, non è prete da indulgenze facili. Anzi. E assistendo alla messa di ieri sera, e ascoltando quelle parole, la mente non poteva non andare al Cristo del “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, alla famosa scena delle Beatitudini. Ricordiamola: un Cristo che guarda dritto in camera, avvolto in un bianco e nero drammatico, il viso duro e severo, pronuncia quel messaggio (“Beati i poveri, eccetera”) quasi gridato, niente affatto consolatorio, ma aspro e feroce come una denuncia. Il Cristo di preti come don Dante e di don Ciotti è questo qui. Senza carinerie e sdolcinature. Un Cristo che cammina con gli ultimi e i dimenticati della terra.

Alla messa in San Pietro - concelebrata dal vicario del vescovo monsignor Lauro Tisi, da don Vittorio Cristelli ex direttore di Vita Trentina, grande amico di don Dante, e dal nuovo parroco di San Pietro don Roberto Lucchi - erano presenti gli amici e alcuni ospiti del Punto di incontro, ma anche tanti cittadini, tanta gente commossa nel ricordo di don Dante. Don Ciotti si è fermato in città poi per partecipare a un incontro organizzato dalla Federazione trentina della Cooperazione. Accanto a lui anche la scrittrice, ormai trentina di adozione, Maria Pia Veladiano. Il tema, manco dirlo: l'accoglienza. Un tema su cui uno come don Dante avrebbe avuto certamente molto da dire (con quelle sue “parole di carne”, come le ha definite con un efficace lampo espressivo don Ciotti), ma anche e soprattutto molto da fare, da agire, da rimboccarsi le maniche.













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