Domeniche, Trento fa dietrofront

Olivi rassicura i Comuni: «Resisteremo al vostro fianco nei contenziosi, non c’è rischio di risarcimenti retroattivi»


di Chiara Bert


TRENTO. Aperture domenicali, si cambia ancora. Il Comune di Trento è pronto al dietrofront, ovvero a tornare alle 12 aperture in un anno, dopo aver annunciato due settimane fa l’improvvisa inversione di rotta: 10 mesi di apertura, il massimo consentito dalla legge provinciale, per evitare il rischio di dover sborsare pesanti risarcimenti alle aziende in seguito alla liberalizzazione del governo Monti.

«A decidere sarà la giunta lunedì», annuncia il sindaco Alessandro Andreatta, ma la strada è imboccata. All’origine della retromarcia c’è il confronto avuto ieri con l’assessore provinciale al commercio Alessandro Olivi: prima una lettera, poi una telefonata di chiarimento dopo lo scontro istituzionale dei giorni scorsi. La Provincia - è la garanzia data da Olivi - sarà al fianco dei Comuni nei contenziosi sulle aperture festive. Non solo: l’assessore ha chiarito, pareri legali alla mano, che «fino a quando la Corte Costituzionale non si sarà espressa, vale la legge provinciale e dunque i Comuni saranno coperti perché non possono essere richiesti risarcimenti retroattivi», questo perché il risarcimento di un danno presuppone un atto illecito, ma non può essere imputato ad un Comune di aver applicato la legge vigente.

Garanzie sufficienti? Parrebbe di sì. «La rassicurazione che la Provincia sarà accanto ai Comuni è per noi importante», dichiara Andreatta al termine dell’incontro convocato in Piazza Dante con sindaci, associazioni dei commercianti e sindacati (con protesta dei grossisti, favorevoli a liberalizzare, per non essere stati invitati). Il sindaco di Trento si spinge oltre: «Spero che se nella malaugurata ipotesi che un giudice ci chiamasse a pagare un indennizzo, la Provincia ci sostenga». «Da parte nostra non c’è nessuna contrapposizione - prosegue - la legge Olivi è una buona legge, la nostra linea è quella che abbiamo approvato 6 mesi fa approvando 12 aperture domenicali all’anno. Nessuno può pensare che oggi vogliamo passare a una filosofia totalmente diversa. Abbiamo però posto un problema, quello delle possibili richieste di risarcimento da parte delle grandi catene che hanno già presentato ricorso al Tar contro il nostro no alle aperture festive. La decisione di allinearci alla liberalizzazione della legge nazionale nasce dalla responsabilità verso i cittadini, rispetto al rischio che il Comune debba pagare centinaia di migliaia di euro di indennizzi».

Pochi minuti più tardi è l’assessore Olivi a tirare le conclusioni del vertice: «L’incontro di oggi ha confermato in maniera unanime la validità dell’impianto della nostra legge, che ha abbattuto vincoli anacronistici senza aprire però ad una liberalizzazione selvaggia, con l’obiettivo di tutelare la qualità del lavoro e di considerare le differenze che esistono tra i territori». «Qualcuno ha pensato che la legge provinciale venisse automaticamente disapplicata, invece rimane in vigore finché la Consulta non si pronuncerà in modo contrario». Diversamente da altre Regioni, finora la Provincia non è ricorsa alla Corte Costituzionale: «Lo faremo in via incidentale se la questione di costituzionalità sarà posta in fase di contenzioso», spiega Olivi.

Ma al di là degli aspetti legali, per Olivi conta l’aspetto politico, ovvero il fronte comune uscito dall’incontro di ieri. Comuni, commercianti e sindacati si sono schierati a difesa della riforma Olivi. Da Marcello Poli al gruppo Paterno, che ha lamentato il calo di fatturato e i problemi occupazionali prodotti dalle aperture generalizzate in Veneto. Dai sindaci dei piccoli Comuni al primo cittadino di Rovereto Andrea Miorandi: «I consumatori non hanno soldi in tasca - ha detto - allargare l’offerta non cambierà le cose. Ci vuole coraggio a difendere le proprie scelte, anche nei tribunali».

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