Divina e l’antipolitica «Ma per greci e latini l’età era un valore»

Il leghista: siamo stati i primi a fare pulizia nel nostro partito spazzare via tutto non conviene, l’elettore se ne accorgerà


di Paolo Morando


TRENTO. Francesco Belsito, Rosi Mauro, il “Trota”: sembra passato un secolo. Eppure tutto è iniziato con loro, poco più di sei mesi fa, lo scorso marzo. E i recenti scandali legati a Fiorito e all’utilizzo dei fondi dei gruppi consiliari regionali del Lazio, ma anche la ’ndrangheta al Pirellone di Milano, hanno cancellato il ricordo dell’uso disinvolto dei contributi elettorali da parte della “family” bossiana, così come le triangolazioni sospette con ambienti della criminalità calabrese da parte dell’allora tesoriere del Carroccio. Sergio Divina, senatore della Lega Nord, se li ricorda invece bene quei giorni di tempesta. E per questo, di fronte alla sempre più dirompente voglia di “rottamazione” della classe politica che ha investito il Paese, afferma quanto segue: «Quando ci siamo accorti dei topi che mangiavano il formaggio, che c’era chi ne approfittava sperperando un piccolo patrimonio, siamo riusciti rapidamente a individuare i responsabili e a isolarli, facendo pulizia al nostro interno. Siamo stati i primi a farlo, benché non fosse facile: la Lega non è un partito come gli altri, Bossi non era un segretario eletto da un congresso, la Lega l’ha costruita e fatta decollare lui. Per come funzionano le cose in Italia, non è stata cosa da poco rinnovare il nostro vertice. E aggiungo che in questi mesi l’unico consigliere regionale di tutta Italia ad essersi dimesso è proprio il figlio di Bossi. E alla luce di tutto quello che è accaduto poi, e che continua ad accadere, tutto sommato si trattava di peccati veniali».

Senatore, per i suoi colleghi del Pd quello del rinnovamento delle istituzioni è un tema sempre più all’ordine del giorno. Mentre per voi della Lega oggi non esistono limiti al numero dei mandati. Non si sente in imbarazzo?

No, E vado controcorrente. Di fronte a questo emergere della gioventù come valore politico positivo, che di per sé sembra porre in condizione di favore, mi oppongo. E dico invece che la condizione anagrafica non è un valore in sé. Qui si sta facendo passare un concetto che è tra l’altro in contrasto con secoli di cultura occidentale, a partire da greci e latini: i “seniores” come qualcosa di cui sbarazzarsi.

Il “Cato Maior” di Cicerone: la “senectute” come valore.

Quella. Anche se poi, viceversa, Seneca sosteneva che “senectute ipsa morbus est”. Ma citazioni a parte, quello che sta passando è un concetto molto pericoloso. Perché rischia di dare il via a un ricambio al di là dei valori dell’impegno e della dedizione, del sapersi spendere, della professionalità e dell’etica. Io ho grande rispetto per chi, in ogni funzione o carica, interpreta questi valori al di là dell’anagrafe.

Non negherà che la classe politica ultimamente abbia dato cattiva mostra di sé. E che oggi un bel colpo di ramazza ci voglia tutto.

Non lo nego. La politica, ma più in generale la classe dirigente del Paese, ha dato negli ultimi tempi il peggio di sé. Ogni giorno emergono ulteriori aree di illegalità, che giustamente non vengono più tollerate. E quando si supera una certa soglia, l’intolleranza passa di grado, fa uno scatto: si trasforma in reazione rivoluzionaria.

Un po’ come accadde nel 1992 con Tangentopoli?

Più o meno. Ma oggi siamo di fronte a qualcosa di ancora più pesante. Una sollevazione su basi così larghe rischia di travolgere assieme al marcio anche quanto c’è di buono.

Se così sarà, si tratterà comunque di una scelta consapevole da parte degli elettori.

Già. Ma io ho anche fiducia nella razionalità dei cittadini. Perché quando deve decidere da chi farsi rappresentare, un elettore consegna simbolicamente all’eletto il proprio portafoglio: lavoro, imposte, pensione, l’amministrazione del patrimonio di ognuno di noi passa in mani altrui. Ed è a quel punto che alla fine scatterà il ravvedimento operoso. Ne sono certo.

Vale a dire?

Oggi il cittadino comune crede che è meglio far saltare il banco, rinnovare tutto costi quel che costi.

Il sondaggio più recente vede il movimento di Beppe Grillo oltre il 20%, addirittura primo partito nella Sicilia che voterà domenica prossima.

Ecco, appunto. Io credo invece che quando si voterà davvero, scatterà un diverso senso di responsabilità. Tutti si diranno: visto che non c’è limite al peggio, votando in questa direzione piuttosto che in quest’altra che cosa mi accadrà? Che cosa pensa questo o quel candidato su questioni come l’economia, l’etica sociale, l’integrazione europea? Per non parlare dei grandi temi di fondo come il fine vita. Queste domande scatteranno. E serviranno risposte responsabili.

Dunque crede che il vento dell’antipolitica sia destinato a sgonfiarsi.

Dico che in cabina elettorale non si può votare contro se stessi. Oggi la stragrande maggioranza degli italiani il banco lo farebbe saltare volentieri, ma gettare tutto al macero non risolverebbe le cose. Certo, l’atteggiamento al voto cambierà: non trovando più chi la pensa davvero come te, si sceglierà piuttosto chi è meno lontano.

Sempre che il sistema elettorale lo consenta.

La reintroduzione delle preferenze va in questa direzione. Così come quanto previsto nel decreto anticorruzione: sarà incandidabile chi è stato condannato per atti di terrorismo e per associazione a delinquere di stampo mafioso. Anche se, riportando la penna in mano agli elettori, ridando loro la possibilità di scegliere davvero, quale partito avrebbe il coraggio di proporre nomi impresentabili? Oggi chi li voterebbe?

Lei è stato eletto in Consiglio provinciale nel 1993, nel ’98 e nel 2003. Crede che serva un limite di tre mandati non solo per il presidente ma anche per i singoli consiglieri?

Nel caso in cui se ne parlasse davvero, sarei contrario. Lo ero anche quando venne introdotto il limite dei tre mandati per i sindaci: se in una piccola comunità c’è una persona per bene, se la gente lo vuole come primo cittadino, perché impedirlo? È una vera e propria aberrazione della democrazia.

Lei è in politica ormai da quasi vent’anni: non sono abbastanza?

Ho appena finito di partecipare a un incontro al “Festival delle professioni”, con esponenti dell’Unione commercio che vorrebbero radicare a Trento il premio Giorgio Ambrosoli, il curatore fallimentare del crack di Sindone assassinato per la propria etica e dedizione nell’impegno che gli era stato affidato. E mi sono sentito dire: senatore, la conosciamo, per lei mettiamo non una mano sul fuoco ma entrambe. In giorni come questi in cui si fa di tutta l’erba un fascio, questo è un buon segnale. Significa non aver lavorato per niente. Per questo sono certo che al momento giusto la gente saprà distinguere tra onesti e disonesti.

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