«Distribuite risorse a pioggia e persi i medici più bravi»

Ioppi e la fuga dei pazienti: «Vanno dove trovano il meglio» «Stop alla logica del consenso, il nuovo direttore cambi rotta»


di Chiara Bert


TRENTO. «Quello che è mancato fino a oggi è una strategia. Nella sanità sono state distribuite risorse a pioggia puntando al consenso, senza investire su quei servizi che possono rendere attrattivi gli ospedali. Si è lasciato che andassero via bravi specialisti, e questo ha sguarnito interi reparti». È severo il giudizio di Marco Ioppi, già primario di ginecologia e ostetricia e oggi presidente dell’Ordine dei medici, sulla gestione della sanità trentina. Al nuovo direttore dell’Azienda sanitaria, che sarà nominato oggi dalla giunta provinciale, chiede «un cambio di rotta»: «Non sia un mero esecutore di un disegno che fin qui è fallito, ascolti i medici e il personale sanitario, perché è dal loro orgoglio professionale e senso di appartenenza che si costruisce la qualità».

Dottor Ioppi, la fuga dei pazienti dal Trentino non è una novità, ma i numeri indicano che il saldo cresce in modo vertiginoso: 17,8 milioni persi nel 2013, 209 milioni in 15 anni. Cosa non ha funzionato?

Che ci sia una mobilità dalle zone periferiche, Primiero, Bassa Valsugana, Fiemme e Fassa, che hanno più vicini l’ospedale di Feltre e di Bolzano rispetto a Trento, è in parte comprensibile. Ma il problema è che è mancato l’impegno a potenziare certi servizi a scapito di altri che vengono richiesti in maniera populistica (sul mantenimento dei punti nascita di valle Ioppi si è più volte espresso in modo critico, ndr). C’è stata una distribuzione di risorse a pioggia senza puntare a rendere attrattivi certi servizi che potevano rendere attrattivi i vari centri. Se abbiamo una sanità di base diffusa, non l’abbiamo di buona qualità. E non abbiamo puntato a valorizzare il personale, ci sono state fughe di medici validi che hanno sguarnito interi reparti, e sul perché se ne sono andati non ci si è interrogati.

È di cinque mesi fa la presentazione del piano di riorganizzazione delle chirurgie: a ogni ospedale la sua specializzazione. Più casi, più qualità, minori attese, si è detto. Non è quello che lei auspica?

Non bastano i proclami, bisogna far sì che gli operatori che lavorano vengano sostenuti e abbiano interesse a lavorare. È la qualità che attira i pazienti, non i muri degli ospedali che da noi sono buoni. Bisogna coinvolgere il personale, è sempre stata la strategia vincente a maggior ragione in sanità. Invece qui si corre il rischio di pensare alla sanità come un normale impiego.

Qual è stato l’errore, pensare che bastasse garantire una qualità media?

Si è sempre pensato che in Trentino tutti dovessero arrivare chiedendo col cappello in mano, quasi fossimo talmente bravi da dare un servizio superiore agli altri. È un’autoreferenzialità che pervade ogni ambito della nostra Provincia, quando sappiamo che se uno chiede una visita, a Verona la ottiene domani mattina. Mentre da noi abbiamo liste molto più lunghe, anche per gli interventi in ospedale.

Da dove si può partire, per invertire il trend?

Abbiamo cliniche con cui la Provincia si convenziona che si riforniscono di specialisti da fuori che indirizzano i pazienti nei loro ospedali di provenienza. Perché da noi gli specialisti devono stare solo nel pubblico e non possono essere impiegati nel privato convenzionato. Se invece ci fosse un rapporto di lavoro regolato per cui gli specialisti potessero offrire ad ore il loro lavoro, ridurremmo la mobilità passiva.

Perché non si fa?

Perché c’è la paura di mischiare il pubblico con il privato. Ma se ci fosse una gestione corretta, potrebbe essere d’aiuto.

Domani (oggi per chi legge) la giunta nominerà il nuovo direttore dell’Azienda sanitaria. Cosa chiedono i medici?

Nella sanità ci vogliono idee. Uscire da un’organizzazione burocratica, valorizzare il personale sanitario, aprire al cambiamento. Spesso gli amministratori hanno dimostrato di non conoscere i problemi, offrendo proposte legate alla logica del consenso e del campanile. Bisogna uscire da questa logica e distinguerci, o ci estingueremo.

Il nuovo direttore si troverà a gestire scelte già fatte dalla politica, come i punti nascita di valle se il ministero darà la deroga: quale sarà il suo margine d’azione?

Spero che abbia e chieda quella libertà d’azione che spetta a un direttore generale e non sia solo esecutore di un piano già tratteggiato e che si è rivelato finora fallimentare. Occorre umiltà: a farsi curare la gente va dove c’è il meglio. Chi può orientare il paziente? Primo, il senso di appartenenza dei medici, la convinzione di far parte di un’organizzazione che funziona bene. Secondo, fornire servizi di qualità e sicuri, per cui i medici più in gamba restano qui e si attirano medici da fuori. Abbiamo una protonterapia che è unica in Italia, ma va valorizzata. Mi chiedo: in dieci anni non siamo stati capaci di ottenere l’inserimento nei Lea ( i livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario nazionale)? Qui qualcuno non ha agito appropriatamente, e quanto ci costa questa mancanza? Serve l’umiltà di capire le cause di determinati insuccessi, e per questo occorre ascoltare medici e personale. Poi sarà la politica a decidere.

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