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Da part time a full time anche contro il dipendente

Sentenza della corte europea di giustizia sul caso di una funzionaria trentina: aveva presentato il ricorso quando il ministero l’aveva riportata al tempo pieno



TRENTO. Può il datore di lavoro trasformare un contratto part-time in uno a tempo pieno senza il benestare del diretto interessato? La risposta è sì e a dirlo, questa volta è la corte di Giustizia dell’Unione Europea chiamata a derimere la questione su richiesta del tribunale di Trento. Tribunale che era stato investito della questione dopo il ricorso presentato da una funzionaria del ministero della Giustizia. La funzionaria dalla fine di agosto del 2000 era in servizio con contratto part time verticale che le permetteva di lavorare tre giorni alla settimana e di restare a casa gli altri tre.

Nel novembre del 2010 la novità normativa che prevedeva, fermo restando «i principi di correttezza e buona fede, di sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale». Ed è partendo da questo «invito» che il ministero della Giustizia, nel febbraio del 2011, ha unilateralmente posto fine al contratto a tempo parziale, riportando la funzionaria in regime di contratto a tempo pieno. La lavoratrice aveva presentato ricorso spiegando che grazie al part time lei riusciva a destinare più tempo alla famiglia e alla formazione. E si richiamava ad una direttiva (la 97/81) che stabiliva come il lavoratore non possa vedere trasformato il part time in tempo pieno contro la propria volontà.

Nella controversia che ne è derivata, il tribunale di Trento ha chiesto alla corte di Giustizia Europea se la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno in forza della legge del 2010, e senza il consenso della funzionaria, fosse contraria alle disposizioni dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

Nella sua sentenza la corte - in particolare la terza sezione presieduta da Ilesic - ricorda anzitutto che «la direttiva 97/81 e l'accordo quadro sono diretti a promuovere il lavoro a tempo parziale - su basi accettabili sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori - e a eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e quelli a tempo pieno». L'accordo quadro «rimette agli Stati membri e alle parti sociali la definizione delle modalità di applicazione dei principi generali, prescrizioni minime e disposizioni, al fine di tener conto della situazione in ogni Stato membro». Ed «esclude che l'opposizione di un lavoratore a una trasformazione del proprio contratto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno possa costituire l'unico motivo del suo licenziamento, in assenza di altre ragioni obiettive».













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