«Costretti a dormire in cinque in un garage»

Una quindicina di rifugiati vivono sotto una tettoia o nelle caverne. «Siamo qui da mesi, non possiamo neanche lavorare»


di Giuliano Lott


TRENTO. Quando sono arrivati in Italia, dopo due lunghe tappe in Grecia e in Ungheria, non si attendevano certo il tappeto rosso. Ma almeno di non dover vivere all’addiaccio sì. Arrivano dal Pakistan, dal Bangladesh, dall’Afghanistan. Sono una quindicina e non possono né lavorare né studiare. «Siamo nella posizione dei richiedenti asilo - spiegano i giovani stranieri -, possiamo solo aspettare che la nostra pratica venga completata per poterci muovere e cercare un lavoro, o di completare gli studi. Siamo stati al Cinformi, anzi ci andiamo ogni settimana per capire quando avremo un posto dove stare. Ma nel frattempo sono passati quattro mesi durissimi, dovevamo accendere il fuoco tutte le sere per non morire di freddo». A loro nessuno ha potuto dare alloggio, quindi si sono arrangiati come potevano. Cioè un garage abbandonato, a pochi metri dall’area Italcementi, dove vivono ammassati in “stanze” separate solo da miseri teli di plastica. Una privacy molto relativa, ma i loro problemi sono altri.

«Vorremmo poter lavorare, abbiamo lasciato il nostro paese perché lì c’erano gravi problemi per discriminazioni religiose. Qui però viviamo ammassati come animali, non abbiamo nemmeno l’acqua per lavarci. I vestiti che abbiamo addosso ce li ha dati la Caritas appena arrivati. Certo, per rimanere puliti bisogna poter lavare i vestiti, e non abbiamo nemmeno un ricambio da indossare mentre laviamo i panni. Ogni tanto alla Caritas ci danno modo di lavarci, di fare una doccia. Tutti i giorni ormai passiamo dagli uffici per capire a che punto stanno le nostre richieste di asilo politico. Ogni giorno al Cinformi ci dicono “Nessuna novità per voi” e torniamo qui ad aspettare». Secondo il gruppo dei “richiedenti asilo” , l’attesa stessa, senza alcuna possibilità di guadagnarsi da vivere, mette addosso un senso di frustrazione che spesso sfocia in una grave forma di depressione. «Tempo fa qui a Trento un somalo ha tentato di uccidersi, era allo stremo e non ce la faceva più. Anche noi stiamo facendo fatica. In Germania ai richiedenti asilo danno subito un alloggio e una piccola diaria che serve almeno per mangiare. Qui siamo condannati ad aspettare i nostri documenti, ma nel frattempo come facciamo a vivere?».

Fosse solo questo il problema. Per gli stranieri un piccolo viaggio è un’impresa disperata. «Quando ci diranno che le carte sono a Roma, dovremo andare in prima persona a ritirarli. Con cosa paghiamo il biglietto del treno? Non possiamo nemmeno lavorare per guadagnare quel minimo che ci permette di vivere». Un pasto solo al giorno, alla Caritas, e la sera chi ne ha la forza va dai frati. Ci mostrano la loro “casa”: la tettoia di un vecchio garage, con un telo che fa da porta. «Quando piove ci rifugiamo nelle grotte della montagna. Non abbiamo altra scelta». C’è chi è scappato ferito da guerre e tuttora grida nella notte tra gli incubi . «Nessuno di noi vuole stare in Italia, per noi è solo una tappa». Ma da qui non sanno né dove stare né come andarsene.

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