«Comunità, la Provincia non poteva legiferare»

L’ordinanza del Consiglio di Stato: i dubbi maggiori riguardano la competenza Olivieri: l’unico modo per uscirne è procedere alla riforma con legge regionale



TRENTO. Era difficile dirla più chiaramente: «La scelta rientrava nell’ambito delle competenze legislative della Regione e non della Provincia». Più che sui passaggi relativi all’elezione diretta delle Comunità o alla titolarità delle funzioni da parte dei Comuni, è bene che il presidente Rossi e l’assessore Daldoss riflettano a fondo su questo passaggio dell’ordinanza con cui il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Comune di Vallarsa, passando la palla alla Corte costituzionale. Già, perché poche righe più avanti, sempre a proposito di chi aveva la potestà di legiferare, i giudici amministrativi respingono senza esitazioni la difesa della Provincia, «in linea - si legge - con una giurisprudenza della Corte costituzionale che non offre argomentazioni in senso contrario». Una formulazione che sembra davvero lasciare scarsi margini di interpretazione. Di tutto questo è convintissimo Luigi Olivieri, avvocato, ex deputato dei Ds, già membro della Commissione dei dodici. E oggi amministratore proprio di Comunità, assessore alle politiche sociali in quella delle Giudicarie.

Un passo indietro. Il Comune di Vallarsa (meglio: il suo sindaco Geremia Gios) si era mosso per contrastare l’obbligo di gestioni associate con bacino di riferimento non inferiore a 10 mila abitanti su informatica, lavori pubblici e appalti. Ma dei motivi di impugnazione proposti prima al Tar (invano) e ora con successo al Consiglio di Stato, quello maggiormente rilevante in termini giuridici è quello relativo alla violazione dell’articolo 4 dello Statuto di autonomia. Che assegna appunto alla Regione la potestà di emanare norme legislative in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni. Uno scoglio apparentemente insormontabile, aggirato però con più interventi legislativi nel 1993, nel ’98 e nel 2004, tutti poi confluiti nell’articolo 57 del Testo unico delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni, in materia di “Forme collaborative intercomunali”. È qui, dal comma 3 al comma 5, che si definisce la materia del contendere: e cioè che è la legge provinciale a stabilire quali funzioni sono delegate, quali quelle esercitate in forma associata dai Comuni e, soprattutto, a disciplinare modalità e tempi per l’individuazione degli ambiti territoriali.

Sono insomma queste, dal punto di vista della legittimità giuridica, le fondamenta su cui poggia la normativa provinciale che ha poi dato vita alle Comunità. Ma il ragionamento del Consiglio di Stato, secondo Olivieri che l’ordinanza l’ha letta e riletta, è che si tratta di norme che non stanno in piedi: «Non c’entra la questione dell’elezione diretta delle Comunità, il motivo è ancora più semplice - afferma - il problema è che, stando all’ordinanza, la Provincia non aveva neppure il potere di esercitare quella delega affidatale dalla Regione, perché secondo una giurisprudenza consolidata, per non dire ovvia, non si può delegare un potere che è già delegato se non c’è un accordo con il delegante». Delegante che è naturalmente lo Stato, che attraverso lo Statuto ha delegato alla Regione il potere di legiferare in materia di enti locali. E ricorda Olivieri un ulteriore passaggio che ebbe l’effetto di rafforzare la competenza regionale: la legge costituzionale del 1993 che modificò gli statuti di Valle d’Aosta, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e appunto Trentino- Alto Adige. Fu il senatore ladino Ezio Anesi a introdurre un emendamento poi recepito all’articolo 6, ricomprendendo tra le materie di competenza regionale primaria «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» in luogo della più limitata definizione «circoscrizioni comunali». E grande fu allora lo scorno della Svp in chiave anti-Regione, ma allora gli equilibri politici fra Trento e Bolzano erano diversi da quelli degli anni successivi.

Al dunque: se un domani la Corte costituzionale dovesse accogliere questa impostazione del Consiglio di Stato? Secondo Olivieri, le conseguenze sarebbero drastiche: ogni legge provinciale in materia di Comunità di valle e gestioni associate dei Comuni perderebbe il proprio fondamento giuridico. Anzi, la propria legittimità costituzionale. In altre parole: non basterebbe più, prima del pronunciamento della Consulta, cambiare la legge eliminando l’elezione diretta delle Comunità. Come uscirne? L’unica via sembrerebbe essere quella di procedere con legge regionale, ma per come si sono messe le cose sembra una prospettiva davvero lontana. Per non parlare di una soluzione parlamentare, cioè una modifica dello Statuto in doppia lettura. Così ancora Olivieri: «Un legislatore serio e attento ha di fronte due strade: o resistere davanti alla Corte costituzionale, difendendo il proprio operato e attendendo il pronunciamento della Consulta prima di intervenire modificando la normativa, oppure, per esser del tutto tranquillo, riportare il tutto alla competenza suggerita dal Consiglio di Stato». Anche perché, nel frattempo, potrebbe essere lo stesso governo a sollevare conflitto d’attribuzione di fronte all’annunciata riforma provinciale. E di Roma, di questi tempi, non c’è davvero da fidarsi troppo. (p.mor.)













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