Comunità, dai sindaci schiaffo alla riforma

«Volete obbligarci a fonderci». Daldoss: «Bisogna cambiare»


di Chiara Bert


TRENTO. Un attacco ai Comuni, un atto di forza e prepotenza. Lo schiaffo dei sindaci alla riforma istituzionale presentata ieri dall’assessore provinciale Carlo Daldoss è nelle parole di Bruna Pellegrini, sindaco di Amblar (250 abitanti in Alta Val di Non): «Dite chiaramente che ci volete obbligare a fonderci». Daldoss non usa giri di parole: «Toglietevi dalla testa che tutto possa restare com’è. Un giorno il Comune non potrà più sostituire il dipendente che va in pensione perché non ci saranno le risorse e allora una scelta andrà fatta, questa è la realtà».

Ma la realtà non ha convinto ieri la maggior parte dei sindaci convocati dal presidente Paride Gianmoena nella sede del Consorzio dei Comuni. A loro Daldoss ha chiesto «una partecipazione positiva» al processo di riforma delle Comunità di valle. Ma da una giornata di confronto con gli amministratori ha incassato per lo più critiche.

Dai piccoli Comuni, innanzitutto. «Non ci date via d’uscita», ha attaccato Elena Biasi, sindaco di Sfruz, Comune di 300 abitanti in val di Non che non ha aderito al nuovo Comune della Predaia: «Cosa possiamo fare, fonderci comunque o fare una gestione associata? È incredibile che sia un governo di centrosinistra a obbligarci! È un intervento autoritario». Un «atto di forza e prepotenza della Provincia» lo ha definito il sindaco di Lona Lases Marco Casagranda: «È agghiacciante - ha tuonato - in sostanza ci state dicendo “restate senza un geometra perché va in pensione e non potete sostituirlo? Arrangiatevi”». Carlo Daldoss tenta ancora una volta di convincere e lo fa citando i numeri del bilancio, spiegando che «i tagli di 6,3 milioni dell’ultimo protocollo di finanza locale non potranno che aumentare»: «Credetemi, la Provincia non è sulla luna rispetto ai Comuni, questa riforma è un tentativo di semplificare, risparmiare e dare responsabilità ai territori».

Ma i sindaci non si rassegnano e protestano, allarmati che nel 2019, per chi è sotto i 1000 abitanti, arrivi la mannaia della Provincia a imporre i referendum e le fusioni. «Con chi posso fondermi io che ho 33 frazioni? Non credo che Folgaria ci vorrà», chiede preoccupata il sindaco di Terragnolo Maria Teresa Succi. E non basta a rassicurarli il fatto che Daldoss ripeta più volte che quella inserita nel disegno di legge è «una possibilità remota», non certo un automatismo.

Quella che era stata presentata come la riforma che restituiva potere ai Comuni, estromessi dalla legge del 2006, oggi finisce nel mirino per lo stesso motivo. Il sindaco di Nago-Torbole Luca Civettini riassume la posizione di molti suoi colleghi: «La Conferenza dei sindaci ci dava il senso di condivisione. La riforma la cancella e adesso non avrò nemmeno garantita la presenza nell’assemblea della Comunità di valle».

Critiche, dure, arrivano anche dai Comuni più grandi. Come Riva del Garda. «I sindaci rischiano di essere l’ultimo carretto», denuncia in mattinata Adalberto Mosaner, nella seduta del Consiglio delle autonomie. «Sindaci e consigli sono la rappresentanza naturale del territorio ma le gestioni associate vengono anteposte alle amministrazioni. Dove finirà la nostra autonomia, che programma presenteremo agli elettori? I sindaci non sono eletti per fare manutenzioni», è la chiosa - tagliente - a quanto aveva spiegato poco prima l’assessore. Ovvero che con la riforma ai Comuni resterà un piccolo budget per le manutenzioni, il resto delle risorse per gli investimenti andrà alle Comunità, alle quali spetteranno «le scelte strategiche per lo sviluppo del territorio». Ed è ancora più tranchant il giudizio della presidente della Comunità delle Giudicarie Patrizia Ballardini: «Lo dico con grande amarezza, questa riforma è un accentramento forte, i territori avranno poche competenze. La Provincia vuole meno interlocutori e meno temi su cui confrontarsi».

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