il caso

Collare elettronico: è maltrattamento

La Cassazione non ha accolto il ricorso di un trentino che era stato condannato a pagare una multa di mille euro


di Mara Deimichei


TRENTO. La vicenda poteva essere chiusa pagando un’oblazione di poche decine di euro, invece è arrivata fino alla Cassazione e il conto, per l’imputato, è diventato molto più salato: ai mille euro della condanna si sono aggiungi i 1.500 da versare alla cassa delle ammende. Così hanno deciso i supremi giudici che si sono occupati di un cane, del collare elettronico che indossava e del suo padrone. Con una sentenza che stabilisce che l’utilizzo del collare elettronico integra il reato di maltrattamento di animali. A nulla sono valse le parole dell’imputato (e di altri testimoni) che andavano nel senso di spiegare che per quel cane c’era solo tanto amore e che il collare veniva utilizzato solo nella sua funzione sonora e non per lanciare scosse «da addestramento» all’animale.

La storia finita in corte di Cassazione inizia a Strembo. Il cane è un piccolo segugio che viveva di fatto libero di scorrazzare fra prati e boschi. E quando il suo padrone voleva richiamarlo, si limitava a schiacciare il tasto su un telecomando che faceva emettere al collare un «bip». Un suono che per il cane significava «torna a casa». Il collare era attivato con questa funzione (è possibile anche - usando un pulsante diverso - far dare una lievissima scossa elettrica) il febbraio dello scorso anno quando il segugio si era allontanato troppo da casa, uscendo dal raggio di azione del collare.

A trovarlo era stato un agente della polizia locale che grazie al microchip aveva individuato il padrone del cane. Ma aveva anche notato il collare nel quale aveva visto un reato. La segnalazione era arrivata in procura e per l'uomo era partita una richiesta di oblazione. L'uomo, però, si era rifiutato di pagare convinto com'era e com’è di non aver mai maltrattato il suo animale. Le sue parole non avevano convinto i giudici che lo avevano condannato ad un multa da mille euro. E visto che per l’imputato la questione era diventata di principio (rifiutava di essere definito come una persona che può far male agli animali) si è arrivati alla Cassazione. Che però ha dato ragione al giudice trentino, ritenendo inammissibile il ricorso. Giudice che aveva escluso che «un collare in grado di emettere sia impulsi sonori sia impulsi elettrici fosse stato acquistato e fatto indossare al cane solo per usarlo per gli impulsi sonori», come aveva sostenuto il proprietario in sua difesa.

Il fatto strano è che i collari - che in questa vicenda sono la ragione della condanna per maltrattamenti - sono di libera vendita. Basta fare un veloce controllo in internet e on line se ne trovano in vendita anche a 67 euro. Poi ci sono i modelli superiori che costano qualche centinaia di euro. Per l'acquisto basta un click ma il fatto che siano acquistabili non garantisce sulla possibilità di utilizzarli.













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