Ciao Luigino, vulcano pieno di sogni


di Alberto Faustini


Quando si spegne un vulcano, resta solo il silenzio. E il calore del ricordo. Ma se il vulcano è una persona, come il grande Luigino Mattei, quel calore si riempie di un’energia contagiosa. Fatta di parole, di racconti, di scrittura, di idee, di intuizioni, di progetti: sempre in bilico fra la speranza e l’indignazione. Questo giornale era la casa di Luigino: il luogo che lo ha reso famoso, il foglio al quale lui ha donato gran parte dell’inchiostro dei suoi pensieri, del pennino della sua bravura. Non sempre ricambiato, come talvolta accade anche ai migliori.

Ma un paio d’anni fa - dopo un lungo corteggiamento - aveva fatto a me e ai lettori un grande dono: era tornato in questa casa di carta. Con l’entusiasmo di sempre. Lui, che era stato umile cronista, ascoltato e stimato capo, grande inviato, editore (quando si buttò in una nuova e temeraria avventura, scrivendo altre pagine di successo), s’era rimesso in cammino. Per raccontare - con il suo sguardo, con quello degli ultimi testimoni di un tempo senza il quale l’oggi di cui ogni giorno parliamo non esisterebbe - quel Trentino che ha sempre amato e al quale, come tutte le persone che amano davvero qualcosa, non aveva mai perdonato nulla. Mauro Lando, suo compagno di viaggio in infinite primavere di titoli e articoli, racconta - sul giornale di oggi - alcuni episodi, ferma alcune istantanee: ci parla del Mattei che ha lasciato un segno non solo in questo giornale, ma in questa comunità, che ha voluto capire, spronare, anche riprendere. Ci fa capire che il grande Luigino (sì, io l’ho sempre chiamato così, strappandogli un sorriso) arrivava prima: scopriva talenti, persone, protagonisti maggiori e minori di una storia che sembra piccola solo mentre si ferma sulle pagine di un quotidiano, ma che poi si fa più grande, come la carta geografica di anime che si fanno luoghi, punti fermi, segni d’un tempo che resta e in qualche modo si cristallizza.

Non amo i giornalisti che parlano di giornalisti. Ma oggi sfoglio per un istante anche una pagina personale. Quella del suo ritorno all’Alto Adige e al Trentino. Lo faccio per dirgli grazie. Per i consigli. Per la stima profonda e profondamente ricambiata. Mi mancheranno quelle email scritte nel cuore della notte («Sai, noi anziani dormiamo poco e con orari strani»), intrise del desiderio di dare ancora dignità non solo ad un mestiere, ma anche alla gran voglia di raccontare che in fondo è il sale della vita ancor prima che del giornalismo. Mi mancheranno i suoi sms («Mi faccio aiutare da mia nipote Giulia, ma volevo dirti al volo questo o quello»).

Mi mancheranno i suoi occhi buoni: vivaci come lo può essere solo chi ti guarda dall’alto della saggezza e dal piano, che lui ha saputo farmi condividere, di una curiosità genuina come quella del più giovane dei giornalisti. Mi mancheranno anche i rimbrotti: non sempre riuscivo a rispondergli al volo; non sempre riuscivo a trovare una risposta degna delle sollecitazioni che contenevano le sue domande o gli ultimi suoi sogni.

Voleva bene a questo giornale e gli perdonava quasi tutto: non la sciatteria, non gli errori, non un titolo che non fosse esattamente quello che lui aveva in mente. Ma era pronto a sostenere una campagna, la fiamma di un pensiero che bruciava un evento, le idee strampalate che vengono all’improvviso ad un direttore che chiede al più anziano dei suoi cronisti di tornare a visitare le valli, per raccontarne i cambiamenti, i fermenti, anche i sonni profondi e inspiegabili. Avevamo ancora molti progetti. Ne avevamo parlato negli ultimi incontri, nelle ultime telefonate, nei ragionamenti fatti anche con la cara Maria Concetta (alla quale siamo tutti vicini, come siamo vicini a Giampiero, ai nipoti e a tutti i parenti). Uno spazio bianco per Luigino ci sarà sempre, in queste pagine che oggi si sentono più sole e in qualche modo orfane. Perché quando si spegne un vulcano, anche il silenzio si fa rumore. E parla di un’assenza che ha lasciato una traccia profonda e che dunque resta: garbata e persino rumorosa e fedele compagna lungo un sentiero che non termina, ma che è tale perché ha potuto contare sul passo sicuro di guide come Luigino Mattei. Poco tempo fa scherzammo sul nostro essere coetanei: è vero, io ho 48 anni e lui ne aveva 84, ma risulta evidente che la differenza è minima. Si tratta di punti di vista. Ecco: lui quelle differenze, quelle sfumature, quei punti di vista li ha sempre saputi prima osservare e poi raccontare. Innamorandosene e restituendo ai lettori gli occhi onesti di chi non conosce le cattedre, ma solo il dialogo continuo con una comunità che oggi si sente un po’ più sola.

Alberto Faustini













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