«Carcere di Spini, luogo alienante per i detenuti» 

Ieri la visita degli avvocati Valcanover, de Bertolini e della ex deputata Bernardini «Struttura moderna e tecnologica, ma arida: la Provincia deve fare di più» 


di Alice Sommavilla


TRENTO. Era stata dipinta come “l'eccellenza” italiana per quanto riguarda il modello delle carceri, la casa circondariale di Spini. Locali ampi e nuovissimi, celle di grandi dimensioni, inserimento di modelli di sicurezza avanzati. Una struttura a “cinque stelle” che era valsa la soddisfazione della Provincia e i complimenti dell'allora ministro Alfano. Sette anni dopo, mentre la commissione giustizia sta discutendo l'approvazione della riforma dell'ordinamento penitenziario, si torna a volgere l'attenzione verso la casa circondariale di Trento nord. 306 i detenuti presenti (dei quali 233 stranieri, una delle percentuali più alte in Italia), nessuna situazione di sovraffollamento, la struttura che, seppur con una serie di problemi tecnici emersi dopo il passaggio di gestione da provinciale a statale, rimane comunque un luogo sopra la media nazionale.

Sono altri i problemi che, secondo il presidente dell’Ordine degli avvocati Andrea de Bertolini, interessano in maniera invalidante il carcere. In primo luogo, la carenza di organico e la conseguente mancanza di figure trattamentali (educatori, psicologi, assistenti sociali). “Ho percepito una grandissima difficoltà dei detenuti nell'accedere a questo genere di servizi, che, non dimentichiamolo, dovrebbero essere garantiti loro per legge” dice de Bertolini. “Questi tipi di trattamenti sono fondamentali per la rieducazione e la riabilitazione del carcerato. Se la persona non viene accompagnata in un percorso di correzione e reinserimento, otterremo quasi sicuramente un fallimento rispetto a quello che è lo scopo della pena”. Altra nota dolente, lo scarso uso di misure alternative alla pena comminate dalla magistratura di sorveglianza. La parola “ozio” rimbalza più volte nei discorsi degli avvocati de Bertolini e Valcanover, che ieri hanno visitato la struttura e che arrivano a definire il carcere di Spini come un “parcheggio di vite umane”. I detenuti non hanno quasi mai la possibilità di studiare o di lavorare all'esterno della struttura. “In molti vivono lontani dalla loro realtà di origine, e non hanno la possibilità di mantenere un contatto con i propri familiari nemmeno attraverso una prima telefonata che possa informarli della loro condizione”, aggiunge Rita Bernardini, membro coordinatore del partito radicale che ha partecipato alla visita. L'ex deputata, da giorni ha iniziato uno sciopero della fame, imitata da molti detenuti italiani, per chiedere allo Stato che la riforma sistematica di adeguamento delle carceri venga approvata. “Trovo che le istituzioni locali trentine non stiano facendo abbastanza - dice Bernardini- il carcere è ancora percepito come una realtà esterna e non viene fatto nessuno sforzo da parte dell'assistenza sociale per supportare il reinserimento di chi è a fine pena. Questo incide pesantemente sulla sicurezza, perché un soggetto che ha seguito un percorso di rieducazione è statisticamente meno portato a perseverare nel delinquere”. Una struttura a cinque stelle dove all'interno quasi nulla si muove dunque: i detenuti scontano la pena in un contesto alienante, senza stimoli positivi o progettualità concrete. Praticamente nulli gli incontri (previsti dalla normativa vigente) tra ospiti del penitenziario e personale dirigente, che potrebbero rivelarsi occasioni preziose per dare voce ai propri bisogni.













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