«Cara Chiesa di Trento mi affido a te come figlio»

Le parole del nuovo vescovo sono di grande umiltà e riconoscenza Ai giovani: «Mi avete fatto passare l’agitazione. Voi insegnerete a noi adulti»



TRENTO. “Ero molto agitato. Poi mi è passata un po'. Adesso ho paura di nuovo”. Il nuovo Arcivescovo di Trento non è tipo da nascondere le sue emozioni. Specie se di fronte ha un centinaio di giovani, quei ragazzi della pastorale giovanile che gli sono stati tanto vicini in questi anni.

Con loro, don Tisi si sente a casa. E forse per questo ha voluto iniziare così il pomeriggio più importante – e più “temuto” – della sua vita. Arrivare in Cattedrale attorniato, quasi sorretto, dai suoi giovani. Ai quali, nel cortile dell'Arcivescovado, poco prima ha donato alcuni pensieri a braccio, raggiustandosi ogni tanto il nuovissimo vestito da vescovo (quello nero con i bottoni e la croce pettorale): “Voi siete una generazione che può insegnare molto a noi adulti. Mi commuove vedere come sapete esprimere bene i vostri sentimenti. Noi, ragazzi negli anni Settanta, non ne eravamo capaci”. A quei giovani ha voluto poi fare una promessa, spiazzando il suo stesso segretario don Mauro Angeli: “In autunno voglio cominciare a lavorare con voi sulla parola di Dio. Lo so che sto forse scombinando qualche agenda, ma il mio segretario mi perdonerà. E adesso andiamo. Ma prima, vi voglio impartire la mia ultima benedizione da prete”.

Le battute fuori copione divertono molto il nuovo arcivescovo. Anche in piazza Duomo, poco prima della cerimonia, incontrando il sindaco Andreatta e il presidente provinciale Rossi: “Le vostre mani sono le prime che stringo, dopo quelle dei giovani poco fa. Mi sembra significativo: prendetela come una reciproca attestazione di stima. E a voi chiedo: fidatevi di questa chiesa”.

Il bene comune, citato anche dal sindaco Andreatta, ispira Tisi a parlare dela necessità di “reti di relazioni significative, in una comunità spesso lacerata da egoismi”. Un discorso che, toccando un tema di strettissima attualità come quello dei profughi, si fa serio e pungente: “Non possiamo più parlare di emergenza, ma di una provocazione della Storia, di una sfida alla convivenza per accogliere quelli che sono veri e propri viandanti della speranza”.

Un Tisi-pensiero già ampiamente noto e analizzato in queste settimane di vigilia della sua ordinazione. Che ieri, soprattutto al termine della celebrazione, nel suo ultimo saluto ai fedeli in cattedrale, si è concentrato su alcuni concetti chiave ormai tipicamente “tisiani”: “Non siamo noi a portare la Parola di Dio, ma è la Parola che porta noi. In questo senso il Verbo si è fatto carne. Cara Chiesa di Trento, mi affido a te. Non come un padre, ma come un figlio. Grazie per tutti i doni che mi hai elargito fin qui. Sostienimi, perdonami quando sarà il momento di farlo. E soprattutto rimproverami quando mi allontanerò dagli ultimi e dai più bisognosi. Grazie a tutti, in particolare a monsignor Luigi Bressan per tutto quello che ha dato a questa chiesa e a questa comunità. Il suo è sempre stato un parlare pieno di speranza. E proprio la speranza è stata la cifra più alta del suo cammino in mezzo a noi”.©RIPRODUZIONE RISERVATA













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