Calenda: imprese spingete sull’export

Il ministro annuncia il riordino degli incentivi: «Troppi, funzionano da vicino» Sì all’accordo di libero scambio con gli Usa: «Potenziale gigantesco»


di Chiara Bert


TRENTO. La politica non scelga per le imprese, le accompagni piuttosto. Aiuti le piccole a esportare e a distribuire i rischi su più mercati, e quelle più grandi a trovare finanziatori. L’Italia metta in campo politiche industriali mirate, perché oggi è un Paese diviso, tra Nord e Sud, tra aziende che competono e altre che non ce la fanno.

Fresco di nomina a ministro dello sviluppo economico, dov’è stato richiamato da Renzi (che lo aveva voluto rappresentante dell’Italia a Bruxelles) per sostituire Federica Guidi travolta dallo scandalo Tempa Rossa, Carlo Calenda ieri al Festival dell’economia ha tratteggiato la sua ricetta per rimettere in moto «un Paese che è sideralmente distante da come potrebbe stare». Piglio da dirigente d’azienda (ha lavorato alla Ferrari, prima di entrare in Confindustria), il neoministro ha dialogato con Innocenzo Cipolletta, già presidente delle Ferrovie dello Stato, oggi presidente del Fondo italiano d’investimenti.

PICCOLE E MEDIE IMPRESE. «La politica industriale non funziona se invece di partire dalla realtà, decide a prescindere su cosa puntare, sull’auto piuttosto che sulla chimica. Allora genera mostri, com’è avvenuto nel Sud, e crea debito pubblico», avverte il ministro. Tra le 200 mila imprese italiane che esportano, quelle veramente integrate nella catena globale sono 14-15mila. A Cipolletta che gli chiede come si spinge il sistema a finanziare le Pmi, Calenda ricorda quello che il suo ministero ha messo in campo: voucher per gli export manager per aiutare le aziende a capire dove e come investire, e società di consulenza che con un contributo pubblico le aiutano a preparare piani industriali e le mettono a contatto con i finanziatori.

INCENTIVI: FUNZIONANO «DA VICINO». Il ministro annuncia per settembre un piano di riordino degli incentivi alle imprese che valgono 3 miliardi di euro: «Andremo a verificarli uno ad uno, anche cancellandone alcuni alla luce degli obiettivi del governo, e liberando così risorse per altro». E per spiegare il rischio polverizzazione, cita i fondi per le start up: «Ogni ministero ne ha almeno 3-4, più quelli delle Regioni, alla fine sono più delle start up». Spiega che a livello nazionale è importante lavorare su politiche di contesto, «costi dell’energia, banda ultralarga, costo del lavoro». «Gli incentivi funzionano molto di più da vicino, mirati sul territorio e non su macrocategorie», dice rispondendo a una domanda sul Trentino tradizionalmente terra di forti contributi pubblici. Anche perché, cita un altro esempio, «50 milioni sulle smart cities non bastano neanche per fare una piazza smart».

AZIENDE DECOTTE. Al Mise sono almeno 150 i tavoli di crisi aziendali aperti. «Ci sono aziende che non si possono salvare», spiega, «è la cosa più orrenda da dire ai lavoratori. Ma serve equilibrio nell’uso dei soldi pubblici, è iniquo creare troppe disparità di trattamento rispetto ad imprese in crisi che muoiono nel silenzio. Un criterio è la capacità dell’azienda di stare ancora sul mercato».

SÌ ALL’ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO. Il ministro rilancia il sostegno al contestato Ttip Usa-Ue: «Gli Usa sono il nostro terzo mercato dell’export, abbiamo un potenziale tra i 10 e i 20 miliardi. L’accordo serve a costruire standard comuni. Una menzogna che gli Ogm potranno entrare in Europa, nessun allentamento dei vincoli su cultura, diritti, servizi pubblici. Una collaborazione con gli Usa serve a costruire una globalizzazione più equilibrata». Infine l’appello alle parti sociali: «L’accordo sulla contrattazione va chiuso entro l’autunno. Il sindacato è molto responsabile sulle crisi aziendali e sui contratti, diventa ideologico quando si va sul generale. Io - conclude - per formazione terrò i rapporti sul concreto».

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