l'intervista

Borzaga: «Discriminate  sul lavoro perché madri, problema radicato»

Il Consigliere di Parità spiega: «Rispetto al passato la situazione è migliore, ma si può fare ancora tanto per la parità»


ASTRID PANIZZA BERTOLINI


TRENTO. Matteo Borzaga è professore di diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Trento, la Libera Università di Bolzano e all’Università di Innsbruck. Dal 2019 è inoltre Consigliere di Parità nel lavoro della Provincia. Si occupa, infatti, di dare gli strumenti necessari alle donne nei casi in cui si trovano in situazioni di disagio lavorativo con consulenze, tramite uno sportello legale gratuito. Si dedica ad attività di informazione e sensibilizzazione.

Ma parliamone direttamente con lui...

Di cosa si occupa nello specifico il Consigliere di Parità? E in cosa è specializzato per esserlo?

Nasco come professore del diritto del lavoro. Per quanto riguarda la funzione di Consigliere di Parità, questo incarico esiste dagli anni ‘80, e la legislazione prevede che questa figura abbia una formazione giuridica con competenze in materia di pari opportunità e lavoro. Il Consigliere di Parità si occupa di discriminazioni di genere sul luogo di lavoro, lo sottolineo perché spesso può crearsi confusione. Qui in Trentino inoltre, così come in Alto Adige, ci occupiamo anche di mobbing.

Che cosa vuol dire parità al giorno d’oggi?

Cercare di superare degli ostacoli che purtroppo ancora oggi rimangono, soprattutto superarli per quanto riguarda il versante pratico e applicativo. La legislazione che abbiamo è molto avanzata, il problema vero è che c’è una grande discrepanza tra la legislazione e la sua applicazione. Spesso gli strumenti a disposizione non vengono applicati correttamente perché sono presenti stereotipi radicati di tipo culturale che ancora oggi riescono ad avere il sopravvento.

Quali sono, quindi, le discriminazioni che tratta maggiormente?

I casi che tratto riguardano per la stragrande maggioranza, nel settore privato, le discriminazioni legate al post-maternità, quando una donna rientra a lavoro dopo aver avuto un figlio. I problemi nascono quando non viene concessa la possibilità di lavoro part-time e nonostante gli strumenti a disposizione siano molti, la lavoratrice è costretta a dimettersi perché il datore di lavoro non le dà la flessibilità di cui avrebbe bisogno, anche se solo per un periodo limitato. È ancora molto radicato lo stereotipo per cui una lavoratrice che rientra dalla maternità invece che essere considerata un asset fondamentale per l’azienda, viene invece ritenuta un peso. Questo succede anche nel virtuoso Trentino.

Si sono fatti comunque dei passi avanti rispetto al passato?

Sicuramente c’è molta più sensibilità. Molte donne si rivolgono a me perché in merito a questi problemi c’è oggi maggiore consapevolezza rispetto a un tempo, alcune cose non sono più accettate come in passato. Che sia aumentata invece la sensibilità dei datori di lavoro faccio fatica a dirlo, il mio osservatorio, infatti, resta comunque limitato ai casi più problematici. Molte imprese oggi puntano alla parità di genere. Ma i datori di lavoro non sempre sono pronti, o meglio, attrezzati.

Da quello che può vedere lei, sono gli uomini che giocano la parte del “cattivo” o le donne che non vogliono assumersi troppe responsabilità?

Ovviamente intervengono tantissimi fattori, non possiamo parlare di “buoni” e “cattivi”. Generalmente le lavoratrici cercano di trovare un equilibrio, richiedendo maggiore flessibilità. Se sul versante lavorativo però c’è troppa rigidità, la lavoratrice finisce spesso per abbandonare. Le ricerche elaborate qui in provincia, però, dicono che questa non è una scelta definitiva, la lavoratrice, infatti, quando i figli entrano nel circuito dell’istruzione nella maggior parte dei casi decide di rientrare. Con il mio lavoro provo a rendere consapevoli e sensibili i datori di lavoro e capita che mi trovi di fonte a datori di lavoro veramente aperti e disponibili a risolvere le incomprensioni, quindi bisogna sempre un po’ distanziarsi da questa idea che ci sia per forza il buono e il cattivo. Non è sempre così, si può lavorare molto sul rendere consapevoli le parti ed è quello che facciamo come ufficio quando mediamo.

Quali sono gli scenari futuri?

Bisogna da un lato trovare strumenti più organizzativi che giuridici per rendere le imprese pronte ad affrontare i periodi transitori come quelli di congedo di maternità. Ci vuole un’apertura maggiore e in questo caso il diritto può fare qualcosa, possono essere realizzati strumenti di matrice economica perché venga messo in discussione lo stereotipo che dei figli si occupi la madre, come la copertura economica dei congedi parentali pagati all’80% anche per i padri. Bisogna che ci sia una convergenza tra i vari approcci per creare un ambiente di lavoro che possa garantire inclusività. Il mondo cambia rapidamente e le esigenze da tenere in considerazione sono tante. Gli strumenti ci sono e che le imprese ci stiano pensando è una realtà. Ci vuole però anche una certa consapevolezza culturale.

 













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