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Bambini a lezione di arabo la domenica mattina a Cles

I figli degli immigrati parlano l'italiano ma vogliono conoscere anche la loro lingua d'origine per poter comunicare con le famiglie di origine. L'insegnante: "Quest'anno 62 iscritti ma la richiesta è continua. Anche molti italiani vorrebbero imparare l'arabo"


Daniele Peretti


CLES. I timori di Noam nel tradurre una frase dall’italiano all’arabo; il rispetto che i ragazzini dimostrano nei confronti del loro maestro; il gioioso sì con cui ha risposto alla domanda... se erano contenti della vittoria del Marocco sul Portogallo. Loro sono i figli dei marocchini che lavorano e che abitano a Cles e che parlano bene l’italiano, ma non conoscono l’arabo. E quando chiedi perché alla domenica mattina hanno voglia di andare nuovamente a scuola, invece di riposare e giocare la risposta è quasi unica: «Per parlare con i nostri nonni e i nostri zii, loro non conoscono l’italiano».

Questa è di certo una situazione anomala, ce la facciamo spiegare dall’insegnante Atif El Maguiri: «A mio giudizio l’errore sta nell’obbligare i bambini a parlare italiano già all’asilo, per aiutarli la famiglia si concentra sull’insegnamento e così si apprende la nuova, ma si dimentica la lingua madre. Se invece l’obbligatorietà arrivasse con le elementari, i bambini in pochi mesi parlerebbero entrambe le lingue».

Una situazione che mette in difficoltà i rapporti parentali.

«In estate tutti noi torniamo a casa, ma se i bambini parlano solo italiano non riescono a rapportarsi né con i parenti, né con i coetanei. Nelle scuole marocchine l’italiano non lo si insegna, la seconda lingua è il francese».

Ci sono problemi particolari nell’insegnamento della lingua?

«Il non parlare arabo sin da piccoli, ha fatto perdere la capacità di emettere alcuni suoni gutturali tipici dell’arabo che da imparare da più grandi è cosa molto difficile. Nelle famiglie spesso si parla solo dialetto e tanti sono i marocchini di origini berbera che parlano una lingua diversa dall’arabo: per tutti si tratta di imparare qualcosa di nuovo».

Caratteri della scrittura a parte, ci sono altre differenze?

«Una fondamentale. Voi scrivete e leggete da sinistra a destra, noi viceversa. In pratica quella che per voi è l’ultima parola di una frase, per noi è la prima. Di conseguenza apriamo libri e quaderni in un modo diverso dal vostro. Per i bambini capovolgere del tutto quello che imparano a scuola non è cosa di certo facile. Lo possono fare solo alla domenica e dopo poche ore tornano a capovolgere di nuovo tutto, sotto questo aspetto sono proprio bravi».

La scuola di lingua araba fa capo al Centro Culturale Islamico di Cles e per quest’anno scolastico ha 62 iscritti divisi in gruppi che la frequentano il sabato e la domenica mattina.

In Trentino sono sei le scuole attive. Atif El Maguiri, ci racconta la sua storia?

«Arrivo in Italia nel 2006 per ricongiungimento familiare, sarei tecnico meccanico, ma ho iniziato a lavorare nei trasporti prima con Sda e poi con Fercam, e da subito ho iniziato a fare il volontario per l’insegnamento della lingua araba. Nel 2006 la prima scuola fu aperta a Taio ed erano 160 i bambini iscritti. Ho fatto molti corsi ed oggi sono il dirigente degli insegnanti, ma anche formatore pedagogico. In più nell’ambito dell’Umei (Unione dei Marocchini all’estero) sono il responsabile nazionale della Lingua e Cultura Araba».

Però è tornato a fare l’insegnante.

«Eravamo in 11, ma siamo rimasti in 4 perché molta della nostra gente se ne è andata dall’Italia. Di contro sono diminuiti gli arrivi e spesso sono persone poco preparate e non adatte all’insegnamento».

Diminuiti gli insegnanti, ma non la richiesta.

«In Trentino ci sono circa 5 mila famiglie marocchine che hanno da 2 a 3 figli che di fatto saranno i nuovi italiani, ma è anche giusto che non dimentichino le loro origini e le loro tradizioni ed è per questo che conoscere la lingua araba è cosa fondamentale».

La richiesta arriva solo dalle vostre famiglie?

«Il lavoro sarebbe infinito perché ci sono anche i pakistani e molti italiani che vorrebbero impararlo, ma siamo troppo pochi. Faccio anche dei corsi di lingua araba alle Forze dell’Ordine. La richiesta non manca, purtroppo non possiamo soddisfarla».

Da parte del Marocco non vi arrivano aiuti?

«Dal Consolato riceviamo tutto il materiale che ci serve, ma avremmo bisogno di un finanziamento che ci permettesse di stipendiare gli insegnanti ed allora, forse, potrebbe essere diverso. Dobbiamo anche considerare come anche i nostri ragazzi siano oberati di impegni extra scolastici e così trovare spazio per la nostra scuola non è sempre facile. I ragazzi pagano una quota annua pari a 100 euro che utilizziamo per organizzare gite e feste ed è l’unico contributo che chiediamo. Il Comune di Cles ci mette a disposizione il locale e tutto il resto è affidato al volontariato».

Seduti ai banchi ci sono loro… gli arabi che non conoscono l’arabo e quando chiedi a Amir, 13 anni, perché lo studia, la sua risposta spiazza: «Perché è bello imparare cose nuove». Avranno anche nomi e cognomi tipicamente marocchini, parleranno italiano ed inglese e saranno gli italiani di domani, ma corrono il rischio di non conoscere la loro lingua madre. Atif e i suoi maestri cercano di evitarlo sacrificando insieme a loro parte del tempo libero per salvare tradizioni e radici.

 













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