Addio a Elvira Magro, raccontò in un libro la sua malattia

Si è spenta a 54 anni l’autrice dell’opera autobiografica con cui ha voluto combattere il tumore con tutte le forze


di Sandra Mattei


TRENTO. Avrebbe compiuto 54 oggi, Elvira Magro. Ma per le assurde coincidenze della vita, oggi ad Elvira sarà dato l’ultimo addio, alle ore 16, al cimitero di Trento.

Elvira non ce l'ha fatta, si scrive in questi casi. Un tumore se l'è portata via, nonostante lei l'abbia combattuto fino all'ultimo. Ma, a pensarci bene, di Elvira sarebbe più giusto scrivere che ce l'ha fatta. Perché la malattia con cui ha convissuto in questi ultimi anni, per lei è stato un percorso non comune di riflessione, di ricerca in definitiva del senso della vita. Elvira Magro era insegnante di tedesco: una bella donna, piena di interessi, colta. Quando ha iniziato la drammatica esperienza della malattia, aveva 47 anni: e come tutti quelli che si vedono consegnare un referto che ti inchioda ad un futuro incerto, Elvira ha affrontato un percorso fatto di speranza e di disperazione, combattendo con tutte le sue forze per continuare a vivere.

E, nonostante i medici non le avessero dato molte speranze lei, i lunghi sette anni di malattia, li ha vissuti a pieno, passando dal primo periodo di disperazione alla consapevolezza che per affrontare la malattia bisogna avere “mente lucida, nervi saldi, grande pazienza”. Un'esperienza che Elvira Magro ha raccontato in un libro “Yuri e il mistero delle scarpe blu” (edizioni Book Salad) e che lei stessa ha definito la «sua risposta, la controffensiva al male, al bagaglio di dolore fisico e psichico». Un libro che per lei è stato terapeutico e che sicuramente l'ha aiutata a superare le tante battaglie che un malato di tumore deve affrontare, per quanti strumenti culturali, intellettuali, economici una persona abbia.

Elvira, nel raccontare la sua esperienza con una rara sensibilità e capacità di scrittura, sorretta da letture sulla malattia, sulle cure alternative, sul rapporto medico paziente, è stata accompagnata dal Centro di riabilitazione neurologica Franca Martini ed in particolare da Daniela Rosi, responsabile culturale. Ricorda quest'ultima: «Le abbiamo proposto questo percorso riabilitativo, come cura di se ed a Elvira è stato di grande aiuto e soddisfazione, perché l’opera ha una sua valenza». Per dirla con le parole di Elvira: «Scrivere di questa esperienza. Perché? Nessun intento didattico-pedagogico, nemmeno, come da più parti suggerito, il meritorio caritatevole impulso di essere d'aiuto ad altri in queste stesse pastoie. Non è stato questo il mio motore. Solo una risposta spontanea alla malattia a cui sentivo di poter reagire meglio con la scrittura piuttosto che con la parola»

Ecco perché con la sua esperienza, messa nero su bianco, Elvira ce l’ha fatta comunque. Se non a vincere la malattia, a reagire e combattere con tutte le sue forze, scrivendo il passaggio negli inferi di una condizione che ti toglie l’autonomia, che ti impedisce di svolgere le più elementari funzioni fisiologiche senza un aiuto, che ti mette a confronto con i detentori della cura, i medici, con tutto quello che implica affidarsi a persone, anche loro con limiti e pregi e che, ancora, ti costringe a convivenze imbarazzanti con le badanti, rapporto che rivela tutta l’ambiguità della somma di due fragilità, quella del malato e quella della straniera costretta a lavorare lontano da casa. Elvira negli ultimi anni ha conquistato, contro ogni previsione, una vita normale ed ha aiutato con il suo libro a comprendere come la condizione umana si regga su un impercettibile confine tra i malati e i sani. Una conquista che le ha riservato anche la soddisfazione di un riconoscimento pubblico della sua opera, quando nell’aprile scorso “Yuri e il mistero della scarpe blu” è stato presentato in biblioteca, con le parole di elogio dell’assessore alla politiche sociali del Violetta Plotegher e alla presenza di tanti amici, che ora la piangono.













Scuola & Ricerca

In primo piano