8 MARZOCento buoni motivi per scegliere le donne, ma bisogna cambiare le nostre teste

Il presidente della Provincia risponde alla lettera aperta pubblicata dal Trentino nella quale cinque donne impegnate nella vita pubblica, politica ed economica provinciale chiedevano più spazio per le donne nei Cda delle società pubbliche


Lorenzo Dellai


Non ci sono solo dieci buoni motivi per avere delle donne ai vertici delle istituzioni, dei cda, delle società pubbliche, ma cento: questo mi verrebbe da commentare "a caldo" dopo avere letto l'articolo scritto da alcune donne impegnate a vario titolo in politica o comunque in posizioni di responsabilità all'interno del mondo economico e associativo.

E mi pare che, seppure lentamente, ciò cominci ad essere percepito dall'intera società; lo provano le donne presenti negli enti locali, nelle comunità di valle, nei diversi settori dell'amministrazione provinciale.

Lo prova una presenza che è sempre più ampia nei luoghi che veramente oggi contano, quelli dove si elaborano i saperi, dove si accumula un indispensabile patrimonio di conoscenze: l'università, i centri di ricerca, le scuole.

Lo prova infine il ruolo sempre più importante che le donne rivestono in seno alle imprese, piccole e grandi, là dove si produce la ricchezza del Paese e della nostra terra. Certo, a fronte di ciò, si ha a volte anche l'impressione contraria; si ha l'impressione cioè che una certa cultura - chiamiamola"maschilista", per semplificare? - sia dura a morire.

Le cronache degli ultimi tempi ci mostrano come le stesse istituzioni a volte non facciano molto per confutare questa impressione, anzi. Da dove arriva questa cultura? Me lo sono chiesto spesso, perché io per primo non credo affatto di essere del tutto immune dai suoi germi, come buona parte degli uomini, del resto. Dai messaggi dei media, della società dello spettacolo, dal ruolo pervasivo di una televisione che non smette di proporci certi modelli, che solo un paio di decenni fa sembravano destinati a definitiva archiviazione? In parte, forse; ma sarebbe troppo semplice liquidare la questione così.

Dal peso della tradizione, di un passato che ha visto la donna comunque relegata in posizioni considerate "subalterne", anche se, a ben guardare, assolutamente indispensabili alla tenuta dell'intera società? Anche questo può essere: per quanto tempo abbiamo pensato alla donna che non aveva un lavoro retribuito, alla donna che si prendeva cura del marito, dei figli, delle persone anziane, come ad una donna che "non lavora"?

Eppure, di nuovo, la spiegazione non può essere solo questa. Forse, anche se le donne - come rilevato nell'articolo pubblicato su queste pagine - danno oggi un contributo fondamentale alla crescita dell'economia, del Pil, il loro talento continua ad essere poco riconosciuto. Ci sono divari nelle retribuzioni, negli stipendi; c'è il mancato riconoscimento di un doppio carico che pesa sulle spalle delle donne, anche se ad esempio con la recente legge sulla famiglia che abbiamo varato abbiamo cercato di prenderne atto e di far fare a tutto il Trentino un "salto di qualità".

C'è però in primo luogo una sottovalutazione di un valore reale, confermato peraltro da tonnellate di studi. Un valore che abbiamo sotto gli occhi ma che ci ostiniamo a non mettere pienamente a fuoco. Cambiare le regole del gioco può servire. Fare leggi migliori può contribuire a cambiare le cose e lo stiamo facendo, continueremo a farlo. Ma in una giornata come questa mi pare si debba partire francamente dalla constatazione che sono le teste a dover cambiare, innanzitutto. E questo è un percorso che sappiamo essere lento, faticoso, non facile. Un percorso che le donne devono aiutarci a fare, giorno dopo giorno. Un percorso che possiamo fare solo assieme













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