È amica dei curdi, espulsa dalla Turchia

La storia di Carlotta Grisi, 28 anni, di Mori: «Dalle autorità di Ankara nessuna spiegazione, dall’Italia nessun aiuto»


di Gianfranco Piccoli


MORI. Un amore sbocciato tra i minareti di Istanbul, i profumi di spezie e kebab, e cresciuto nella quotidianità delle relazioni tessute in un'area geografica, il Kurdistan, che esiste nei cuori di chi ci vive, ma sulle cartine è una complessa vastità divisa fra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Un amore non “gradito” al governo turco, che lo scorso giugno all'aeroporto Ataturk di Istanbul si è tradotto in un provvedimento che cade sotto la sigla G82. Nella sostanza, Carlotta Grisi, 28 anni, di Mori (figlia del noto musicista Gianfranco), è stata espulsa dalla Turchia. Nessuna spiegazione ufficiale dalle autorità turche, ma è pacifico che la giovane ha pagato a caro prezzo l'amicizia con i curdi, minoranza al centro da sempre di un durissimo conflitto con Ankara.

Carlotta, tutto è cominciato...

Nel 2008. Sono laureata in Scienze internazionali e diplomatiche a Bologna e all'epoca, per Erasmus, la Turchia era l'unica destinazione in Medio Oriente, la mia area di interesse.

Il mondo curdo?

Lo conoscevo marginalmente. Ma ad Istanbul ho incrociato spesso manifestazioni di piazza della donne curde e il tema era frequentemente trattato dai giornali. Così ho deciso di approfondire e di fare la mia tesi specialistica sulle politiche di Ankara verso la questione curda, in particolare con l'avvento al potere di Erdogan e del suo partito di ispirazione islamica.

Il primo viaggio in Kurdistan?

Nel marzo del 2010, in occasione del capodanno curdo. Ho viaggiato per un mese e mezzo, parlando con la gente, incontrando le autorità locali e governative. Per tutto quel tempo non ho mai dormito in hotel: c'è sempre stato qualcuno che ha voluto ospitarmi. Sono rientrata ad Istanbul, ma dopo un giorno non ce l'ho più fatta: ho preso il treno e sono tornata in Kurdistan, a Diyarbaker, la città curda più grande, dove ho vissuto in una famiglia.

Un amore, un lavoro.

Da quel momento ho avviato un progetto di turismo responsabile . In un anno e mezzo una decina di viaggi, avrò portato in Kurdistan circa 120 persone.

Cosa può aver irritato le autorità turche?

Spesso mi sono addentrata nelle zone più “difficili”, quelle militarizzate, dove lo scontro tra Ankara e curdi è reale. Ci sono check-point ogni 50 chilometri e ogni volta viene segnato il nome di chi passa. Il mio è stato scritto tante volte.

In ballo c'è anche un documentario.

Stanno costruendo una diga ad Hasankeyf, sul Tigri. L'invaso cancellerà un sito archeologico importantissimo. Ma francamente non credo sia stata stata questa la leva che ha spinto il Ministero degli interni a cacciarmi.

A giugno la sorpresa.

“All'aeroporto mi hanno notificato il foglio di via. Da quel momento nessuna spiegazione, nonostante le mie sollecitazioni, anche al consolato turco di Milano. Formalmente, non ho fatto nulla.

Ma?

Chiaro, pago l'amicizia con i curdi. Con i quali ora mi sento solo per telefono, sapendo però che le conversazioni sono controllate.

E ora?

Sono abbandonata in un limbo burocratico. E devo prendere atto che, nonostante le mie richieste di aiuto, lo Stato italiano non ha fatto nulla per il mio caso, nonostante la sottoscritta non abbia commesso nulla di illegale.

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