L'INGANNO

Spaccia il fondo di bottiglia per un diamante da 3,5 carati, a processo per truffa

La donna ha ingannato la commessa di un negozio vantando conoscenze in città e un certificato custodito dalla mamma a Bolzano 
 



TRENTO. La storia l’ha costruita molto bene: tante parole e poco tempo in modo da evitare che la persona che era davanti a lei avesse il tempo di controllare, di verificare. Ed è stato così che la prima donna è riuscita a farsi dare quasi 3 mila euro per un diamante che in realtà un pezzo di pietra sintetico. Esattamente si trattava di una moissanite sintetica da un valore irrisorio certamente non paragonabile a quello di diamante da 3 carati e mezzo.

Un inganno che secondo il codice penale è una truffa ed è di questo reato che è ora chiamata a rispondere una quarantenne di Torino che è stata denunciata dalla titolare di uno dei negozi di Trento che si occupa di acquisto e vendita di preziosi.

I fatti risalgono alla primavera dell’anno scorso quando la quarantenne si è presentata nel negozio. E ha iniziato subito a parlare. Ben vestita, ha messo subito le mani avanti spiegando di avere conoscenze molto importanti in città, usando queste sue presunte conoscenze come una garanzia sulla sua persona e sul bene che voleva vendere. Ossia un anello con un prezioso diamante da 3 carati e mezzo. La quarantenne ha spiegato alla commessa di essere una commercialista e ha anche usato il nome di una nota catena di supermercati sempre con l’intenzione di spiegare che era una donna con una certa disponibilità economica visto che lavorava per una struttura così nota e solida. Tutto questo parlando velocemente e non lasciando alla «controparte» il tempo di verificare la bontà delle sue parole, soprattutto sulle caratteristiche della pietra. Pietra della quale la venditrice aveva certamente il certificato di garanzia che però in quel momento si trovava nella casa della madre, a Bolzano. Certo non era troppo lontano ma non c’era il tempo materiale di andarlo a prendere perché la quarantenne aveva bisogno subito di quei soldi. Soldi che le servivano nel giro di due ore. Era per quello che metteva in vendita l’anello e il relativo diamante. La commessa, stordita dalle chiacchiere della donna, che aveva l’atteggiamento, i vestiti e i modi di una persona degna di fiducia. Ed è per questo che alla fine ha detto sì alla compravendita e ha pagato 2.990 euro per quella pietra che, dopo un controllo, si è dimostrata essere al pari di un fondo di bottiglia. Da qui la denuncia e la costituzione a parte civile della vittima della truffa. Che chiede un risarcimento di poco superiore ai 3 mila euro.













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