Morto di caldo in fabbrica inizia oggi il processo 

Prima udienza pubblica per il caso di Carmine Minichino, spentosi in ospedale dopo un malore. Imputati Gianni Marangoni e il medico del lavoro Marco Fabbri 



ROVERETO . Si apre oggi, a due anni e mezzo dai fatti, il processo per la morte di Carmine Minichino, l’operaio di Marangoni Pneumatici stroncato da ipertermia nella caldissima estate del 2015. Il giudice è Fabio Peloso, mentre gli imputati sono Gianni marangoni, chiamato in causa come responsabile della sicurezza dello stabilimento di via del Garda, e il medico del lavoro, il dottor Marco Fabbri. Chiamata a rispondere anche la società Marangoni Spa per le responsabilità amministrative nel processo penale. I legali dell'azienda avevano cercato di chiudere la vicenda con un’offerta di 150 mila euro quale risarcimento ai familiari (65 mila per ognuno dei due figli, 10 mila a ciascuno dei due fratelli), ma la controparte ha rifiutato. Così oggi inizia il dibattimento pubblico e a confrontarsi in aula saranno due tesi. Quella dell'azienda, che si appoggia alla perizia del medico legale Dario Raniero ordinata dal gup Monica Izzo, secondo la quale la morte per ipertermia venne favorita da concause quali obesità e scompensi cardiaci. Una tesi confutata con forza dal professor Gaetano Thiene, consulente della parte civile, la famiglia Minichino. Thiene, ordinario di anatomopatologia e direttore dell'unità di patologia cardiovascolare a Padova (noto alle cronache per aver «risolto» il caso Aldrovandi), sostiene che Minichino non ha mai sofferto problemi cardiaci, e quando fu soccorso dopo il malore in reparto respirava ancora. Vale a dire che non era in arresto cardiaco (morì infatti la notte successiva in ospedale). Per l’esperto della famiglia, storia clinica, dati circostanziali, diagnosi clinica all'ingresso e referto dell’autopsia portano ad escludere che a portare Minichino alla morte sia stata una cardiopatia ipertensiva complicata da sincope. Secondo Thiene, la causa del decesso fu invece uno shock fulminante da ipertermia. Il malore si verificò il 21 luglio 2015. Minichino si sentì male mentre lavorava nel reparto vulcanizzazione e venne soccorso dai colleghi, che chiamarono in soccorso l’ambulanza di Trentino emergenza. L’operaio venne trasportato in ospedale, ma verso le quattro del mattino si spense.

Come dichiararono i colleghi della vittima, nel reparto si lavorava a temperature elevatissime, prossime ai 50 gradi. Nel capannone non c’era nessun sistema di refrigerazione dell'aria, e ad aggravare la situazione c’era il caldo pesantissimo di quei giorni, con i termometri schizzati a 40° all'ombra. La cartella clinica riferisce che il decesso era dovuto a "insufficienza cardiocircolatoria secondaria a shock da ipertermia". Ne nacque un’indagine sfociata in un procedimento penale, avviato nella sua fase preliminare. Durante le numerose udienze davanti al gup Monica Izzo non si giunse ad una conclusione, pertanto i due imputati vennero rinviati a giudizio. Una scelta che permette di esperire nuovi approfondimenti nella sua fase dibattimentale, che si apre oggi nell’aula Amato del tribunale. E non prevede tempi brevi.

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