Le storie degli ebrei mai tornati dai lager 

Oggi la presentazione del libro “Quando la patria uccide”: «Dobbiamo far riemergere queste vicende»



ROVERETO. «I periodi peggiori per la comunità ebraica altoatesina furono quelli segnati dalle leggi razziali del 1938 e dall’occupazione nazista della provincia con la creazione dell’Alpenvorland, dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43. In tanti furono deportati nel lager di Bolzano ma anche in altri campi austriaci». Joachim Innerhofer riflette su quel periodo buio. Un paio d’anni fa è stato pubblicato da Raetia l’edizione italiana di “Quando la patria uccide. Storie ritrovate di famiglie ebraiche in Alto Adige” che il direttore del Museo ebraico di Merano ha curato insieme alla storica Sabine Mayr. Il libro, per iniziativa dell’Anpi (l’associazione dei partigiani), sarà presentato oggi alle 17.30 all’Urban center di corso Rosmini. Oltre agli autori saranno presenti Maria Luisa Crosina, studiosa della Shoah trentina e Adriana Viktoria Zanellato, testimone di quell’orrore, ai tempi una bambina, rinchiusa nel lager di via Resia.

Il titolo dice già molto. Nello specifico che cosa?

Viene ripercorsa – dice Innerhofer – la storia della presenza della comunità ebraica in Alto Adige, in particolare a Merano, dove c’era la sua massima concentrazione, lungo la prima metà del Novecento. Con particolare attenzione al periodo fascista e poi dell’occupazione nazista che comportò la deportazione di molti ebrei altoatesini nei campi di concentramento.

Quanto era diffuso l’antisemitismo in Alto Adige sotto il fascismo?

Prima del fascismo si caratterizzava più che altro come antigiudaismo, tipicamente di matrice religiosa. Con l’arrivo del regime questo “sentimento”, chiamiamolo così, tanto per intenderci, si trasformò in antisemitismo vero e proprio.

Sotto il fascismo quanti erano gli ebrei in Alto Adige?

Abbiamo un dato che si riferisce al 1938, con l’emanazione delle leggi razziali. La comunità ebraica a Merano, perché è qui, in riva al Passirio, che viveva quasi tutta, sommava a 1500 persone.

Cosa facevano?

Erano soprattutto commercianti, medici, avvocati, albergatori, dipendenti.

La comunità ebraica dell’Alto Adige che rapporti aveva con la popolazione di lingua tedesca?

C’era convivenza. A parte con le frange più clericali. Poi, con il fascismo, ma soprattutto con l’emanazione delle leggi razziali e, in seguito, l’occupazione nazista, la situazione cambiò. In molti scapparono, anche all’estero. Tanti vennero deportati. Il 16 settembre 1943 in 25 furono caricati su un camion e portati in un lager vicino a Innsbruck. Complessivamente, nei campi di concentramento ne morirono tra i 100 e i 150. Il numero esatto non lo conosciamo. Ne tornò solo uno, una donna.

Storie in gran parte dimenticate?

Certo. Queste storie in gran parte non si conoscevano. Qualcosa si sapeva, ma non con precisione. Le abbiamo riportate alla luce con questa pubblicazione.

E cosa possono insegnare, al nostro presente?

Che non basta dire “mai più”. E’ necessario continuare a ricordare e far riemergere queste storie.

E lo farete ancora?

Sì, continuiamo le ricerche. Stiamo studiando altri documenti che ci arrivano dal passato. E, prossimamente, pubblicheremo un’altra raccolta.(pa.pi.)













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