Cimeli, curiosità e un falso storico nella mostra su Antonio Rosmini

rovereto. “In che parte troveremo un Clero immensamente ricco che abbia il coraggio di farsi povero? O che pur solo abbia il lume dell’intelletto non appannato a vedere che è scoccata l’ora in cui l’i...


Anna Maria Eccli


rovereto. “In che parte troveremo un Clero immensamente ricco che abbia il coraggio di farsi povero? O che pur solo abbia il lume dell’intelletto non appannato a vedere che è scoccata l’ora in cui l’impoverire la Chiesa è un salvarla?” Così scriveva Antonio Rosmini nell’opera “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”, pubblicazione che (assieme a “La costituzione secondo la giustizia sociale”) varrà al prete filosofo roveretano la messa all’indice. Era il 1848, lo stesso anno in cui Karl Marx e Friedrich Engels davano alla stampa il “Manifesto del partito comunista”, epoca di grandi sconvolgimenti, erede delle inquietudini napoleoniche e della pretese della Restaurazione, ma anche, a ritroso, dell’Enciclopedie di Diderot e D’Alembert, del criticismo kantiano e dell’idealismo di Fichte e di Hegel.

Un’epoca di tensioni

Il pensiero di Rosmini si forma entro un crogiuolo di tensioni e di tematiche che lo spingeranno a rielaborare in modo personale istanze per i nuovi tempi che richiedevano soprattutto un rinnovamento etico profondo, capace di restituire luce alla tradizione cattolica.

Non poteva che essere proprio la prima edizione de le “cinque piaghe”, stampata a Lugano, ad aprire la mostra inaugurata sabato a Palazzo Alberti Poja, dedicata alle opere del “genio roveretano”. Nella teca, accanto alla prima edizione del libro proibito, sta quella di 15 anni posteriore, pubblicata in gran segreto proprio a Rovereto e destinata al rogo. All’inaugurazione della mostra, Gianmario Baldi, direttore della Biblioteca Tartarotti, ha sottolineato il legame tra istanze rosminiane e dottrina sociale moderna della chiesa: “Il pensiero di Maritain – ha detto - laddove incita ad affrontare la discussione senza paura, perché il conflitto non è da temere quando si lavori per scoprire la verità, ha origini rosminiane”. Tanto per dire della forza rivoluzionaria e attualissima di questo pensatore che rivendica verità, capace di fondare una nuova antropologia.

Le chicche in mostra

Tra le chicche in esposizione, troviamo tomi su “questioncelle” come l’apologetica, l’ascetica, il trattato sulla coscienza morale, del 1839, quello su l’”Antropologia in servizio della scienza morale”, e la gustosa demistificazione della statistica (sui cui altari la modernità continua a consumare liturgie varie), dottrina “dei fatti” che Rosmini liquida come non scienza perché priva di ratio unificante. Persino “Del modo di catechizzare gli idioti” secondo Sant’Agostino, Rosmini rese edotto l’occidente, grazie alla volgarizzazione che ne fece nel 1821, per i tipi veneziani: ne uscì un vero trattato psicologico sulla comunicazione, la noia e la passione.

L’attenzione alla pedagogia contraddistinse la sua opera, come testimonia il “falso d’epoca” che fa bella mostra di sé in una tesa: accanto a una fotografia originale, del 1867, che ritrae Don Bosco mentre benedice i fanciulli, c’è quella modificata in cui il volto di don Bosco è sostituito dal viso di Rosmini e alla data originaria viene sostituita quella del 1835 (data simbolica che coincide con l’avvio della casa-convento di Stresa, cuore dell’attività educativa rosminiana).

Il rapporto con don Bosco

Una contraffazione dichiarata con nota coeva, che costituisce un vero inedito archivistico, arguto e paradossale manifesto a sostegno della “ricerca del vero” che tanto a cuore stava ad Antonio Rosmini. Ma anche gioco del doppio, visto non solo il legame fraterno tra don Bosco e Rosmini stesso, ma anche il comune, grande, interesse verso l’educazione dei giovani: “C’era un profondo legame tra i due – ricorda Baldi – e Antonio Rosmini finanziava le stesse tipografie con cui don Bosco preparava a un mestiere tanti giovani”.

Alle rarità bibliografiche (che comprendono persino lo scritto di Rosmini sul panteismo di Gioberti) si sommano due sezioni finali, dedicate alla medaglistica e alla filatelia, ulteriori testimonianze di una fama che immortala solo i veri geni.













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