Bandini: «Lasciati soli ad affrontare la terribile battaglia» 

Lo sfogo. Il coordinatore sanitario della Casa di riposo di Riva sbotta: «Siamo stati i primi a chiudere tutto, mentre la Provincia lasciava sciare i turisti lombardi sulle nostre piste. Ci siamo  dovuti comprare i tutoni agricoli, le mascherine e gli occhiali perché i kit non erano sufficienti»


MATTEO CASSOL


Riva. «Dopo averci abbandonati, ci sono politici che ci criticano pure. Nella nostra casa di riposo, come in altre, stiamo facendo il massimo con i pochi mezzi a disposizione»: lo dice il medico coordinatore sanitario dell’Apsp Città di Riva, Sergio Bandini, che per la struttura rivana ha in mente una chiusura alle visite almeno fino a fine giugno, a prescindere da cosa avverrà a livello generale. «Ci dispiace per i parenti – sottolinea Bandini – ma intendiamo fare di tutto per salvaguardare i nostri ospiti. I familiari potranno salutarli alla finestra, dal cortile. Dobbiamo evitare assolutamente un rientro del contagio».

Nel frattempo occorre fare i conti con il contagio già entrato: «Abbiamo avuto una conferenza in streaming – spiega il coordinatore sanitario – alla quale hanno partecipato Fugatti e Segnana. Ci hanno chiesto come mai ci sia un numero così elevato di morti nelle case di riposo. Vengano loro a fare anche solo un turno da noi e vediamo se riescono a fare meglio. Quando è partita l’epidemia non abbiamo avuto alcun tipo di aiuto. L’Azienda sanitaria ci ha emarginato, abbiamo dovuto procurarci da soli tutti i dispositivi di protezione individuale, prima facendoli fare e poi pagandoli sul libero mercato a caro prezzo, e anche i farmaci ce li siamo dovuti procurare ascoltando conferenze di virologi in giro per l’Italia e confrontandoci tra noi, in primis con la dottoressa Scartezzini di Dro. Dell’antivirale non se ne parla nemmeno, perché se c’è viene riservato al trattamento ospedaliero. Ci siamo dovuti comprare i tutoni in polietilene che vengono indossati dagli agricoltori quando spargono gli insetticidi, tutoni che poi sanifichiamo, perché i kit che ci hanno dato non sono sufficienti per la protezione. Recuperiamo gli occhiali lavandoli nel cloro, che dobbiamo comprare da soli. Problemi analoghi per le mascherine. Inizialmente non ci davano neanche i tamponi. Abbiamo dovuto pestare i pugni e ora tamponiamo tutto il personale a tappeto ogni due settimane. Personale che sta dentro dalle 8 alle 12 ore filate a bagno nel covid-19 con turni allucinanti. Questa è la situazione. Fortuna che abbiamo un direttore e un vicedirettore che danno l’anima per aiutarci».

Ci sono anche problemi strutturali: «Le case di riposo sono edifici vecchiotti che non si prestano assolutamente allo stabilire zone di contingentamento delle persone. Noi abbiamo per esempio due piani da cui non escono i letti perché le porte sono troppo strette. Come si fa a trasferirli? E poi ci sono camere che hanno un ingresso in comune, un muro in mezzo, tre letti da una parte e tre dall’altra e un bagno solo per sei persone. Queste sono le strutture riguardo cui i politici si stupiscono per l’elevato numero di contagiati e di morti. Noi abbiamo chiuso ai parenti ancora ai primi di febbraio, subendo le critiche (intanto si tenevano aperti gli impianti sciistici e veniva invitata la gente dalla Lombardia che ci ha portato il virus), perché avevamo capito che gli ingressi dall’esterno ci avrebbero potuto far entrare il contagio. E ciononostante il contagio è arrivato».

Ora c’è la “task force” provinciale sulle case di riposo: «A epidemia all’apice e, si spera, in via di spegnimento, vengono a vedere come stiamo. Abbiamo 27 pazienti contagiati, quattro infermieri e una decina di oss a casa. Il personale è ridotto all’osso, ma facciamo di tutto per poter assistere gli ospiti, igienizzarli e dar loro da mangiare. Ma è una situazione di guerra. Abbiamo già avuto dei morti, a Dro e a Ledro è andata peggio. Speriamo – conclude Bandini – di riuscire a uscirne».















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