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«Quei due pupazzi di paglia sembrano irridere alla croce»

COREDO. “Non so se definirla una provocazione o una leggerezza, ma sicuramente non è espressione di buon gusto!” Inizia così la lettera di un turista che ha voluto commentare, a modo suo, i due...



COREDO. “Non so se definirla una provocazione o una leggerezza, ma sicuramente non è espressione di buon gusto!” Inizia così la lettera di un turista che ha voluto commentare, a modo suo, i due pupazzi di paglia che, a quanto pare per tutta l’estate, hanno “accompagnato” quasi come due irriverenti chierichetti l’antica croce votiva che si erge all’ingresso dell’abitato per chi sale da Dermulo. “La cosa l’ho subito notata con fastidio già al mio arrivo a Coredo, paese che frequento da molti anni, e speravo che qualcun altro avesse la mia stessa reazione, invece nulla. Allora parlando con il mio “padrone” di casa ho voluto capire che cosa rappresenta davvero per la comunità di Coredo quella croce di fronte alla rotatoria che smista il traffico tra la zona produttiva da una parte e dall’altra la provinciale per Smarano e Sfruz e il collegamento verso la parte residenziale a valle del paese. Ho così scoperto che sono ben 5 le croci posizionate, nel corso del tempo, ad altrettanti ingressi di Coredo, simboli di devozioni che vengono da lontano e che, nella convinzione (o credenza) popolare, sono serviti nel tempo “a proteggere” il paese da ipotetiche o reali sciagure che potevano arrivare da fuori. Non entro nel merito della fede nel Soprannaturale che è sentimento intimo e personale, ma mi limito a parlare di “rispetto” che credo sia un valore che dovrebbe essere comune a tutti, credenti e non credenti. Ecco i due giganteschi paffuti pupazzi di paglia (peraltro simpatici e belli a vedere, se non fosse per il contesto) potevano benissimo essere collocati altrove senza affiancare - di fatto oscurandola – la croce votiva, quasi a volerla irridere. Per me, e credo anche per altri, non è stato un bel segno di benvenuto a Coredo, paese che peraltro continuo a considerare un po' mio non solo per la bellezza dell’ambiente e l’ospitalità della sua gente, ma anche per la ricchezza di tradizioni e di memorie che qui orgogliosamente sopravvivono. Almeno così credevo”. (g.e.)















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