Positivo al Covid, famiglia in quarantena dopo 7 giorni 

La testimonianza. Un impiegato della Val di Non il 15 ottobre scopre di essere stato contagiato da un collega. La figlia non va a scuola, la moglie insegnante anche, ma grazie a permessi e ferie



Val di non. Ci sono procedure, regole ferree che gli studenti rispettano per limitare il diffondersi del virus. C’è l’obbligo di indossare le mascherine, non si può festeggiare al ristorante, al bar dobbiamo stare distanti ed è fortemente ridimensionata la nostra vita sociale. Sappiamo che è fondamentale isolare i positivi perché non contagino altre persone. E gli esperti più o meno tali, a tutte le ore e su tutti i canali ci ripetono che più siamo bravi ad isolarli, minore sarà l’indice di contagiosità.

Sappiamo anche che l’Azienda sanitaria provinciale prende in carico i positivi, li contatta telefonicamente, fa il contact tracing, chiama e mette in isolamento preventivo le persone che sono state a contatto con il positivo… ma siamo sicuri che sia proprio così e tutto stia funzionando al meglio?

Non proprio almeno a sentire quello che è successo, anzi che sta succedendo proprio in questi giorni, ad una famiglia in Valle di Non.

Giovedì 15 ottobre mattina, Mario (nome di fantasia), impiegato, avverte una strana sensazione, malessere e debolezza; viene a conoscenza che un suo collega è risultato positivo e decide di sottoporsi ad un tampone in un laboratorio privato. Giovedì pomeriggio ha già il referto: positivo. Contatta il medico di base che gli dice che quel tampone non è ufficiale e lo sottopone ad un successivo tampone il giorno seguente, venerdì.

Intanto moglie e figlia si mettono in isolamento volontario: la figlia non va a scuola e la moglie, insegnante, avvisa la scuola. Le viene detto che fino a quando non c’è il certificato di isolamento lei potrebbe andare al lavoro e che la scuola non può obbligarla a stare a casa. Le consigliano di chiedere al medico di base di farsi dare malattia.

Il medico di base dice che non può certificare una malattia che non esiste, e che fino a quando non c'è il certificato di isolamento è libera di lavorare. Quindi la donna chiede permessi e ferie (che per gli insegnanti, avendo lunghe vacanze, sono previsti in misura molto limitata; massimo due ore di permesso al giorno e massimo 6 giornate di ferie all'anno) per poter stare a casa. Come potrebbe andare a scuola, l'ambiente più a rischio in assoluto? Per fortuna, due sue classi sono in isolamento, quindi riesce a far fronte facendo lezione da casa per le classi isolate e chiedendo i permessi per le altre due. La didattica integrativa per la figlia invece non parte, perché ufficialmente non è in isolamento.

Il risultato del tampone è arrivato lunedì 19 alle 17. Non succede nulla. Il telefono non squilla.

Il medico di base dice che si deve attendere l’Azienda sanitaria.

Martedì sera (passati 6 giorni dall’esito del tampone privato) alla moglie viene l'idea di cercare sulla pagina web della Provincia notizie in merito e trova la chat ufficiale. Prima domanda: “età”, seconda domanda “Ha sintomi? No”, terza domanda. “È stata a contatto con un positivo? Sì”. Risposta: “Contatti il numero verde 800 867 388 o il suo medico di base”. La signora, speranzosa di risolvere la questione, compone il numero. Una segreteria le risponde: “Numero verde informazioni Coronavirus della Provincia di Trento; la informiamo che il servizio non è più attivo dal primo luglio 2020”.

Solo ieri, finalmente l’Azienda sanitaria ha disposto la quarantena per mamma e figlia. È questo il modo con cui si fa il contact tracing? È così che si pensa di limitare il diffondersi del virus? E siamo solo ad ottobre.















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