L'INTERVISTA Felix Lalù, cantautore 

«Il mio è il primo disco in nones: epocale, tagliente e necessario» 

Artista a tuttotondo. Oscar de Bertoldi (all’anagrafe) fa musica da quando ha 15 anni. “No Hablo Ladino” contiene 10 canzoni pop che raccontano la Valle di Non di oggi-Senza parlare di mele e di natura  


Fabrizio Brida


Val di non. “No Hablo Ladino” è il primo disco in nones della storia. L’autore è un noneso doc e un artista a tuttotondo: Felix Lalù, all’anagrafe Oscar de Bertoldi, che a Natale ha voluto fare un regalo speciale ai suoi conterranei, e non solo. Un disco autoironico e dissacrante, piacevole e divertente. Un disco nato con l’intento di raccontare la Val di Non contemporanea.

Felix Lalù, parlaci un po’ di te: quando e come nasce la tua passione per la musica? Come ti definiresti dal punto di vista artistico?

La passione per la musica è nata ascoltando un sacco di musica. A 15 anni con due amiche abbiamo fondato un gruppo perché volevamo far casino e spaccare tutto, provocare una reazione. Da allora non ho mai passato più di sei mesi senza fare un concerto. Oggi faccio la stessa cosa, ma con volumi più contenuti. C’è chi è un artista nel suonare bene, io sono un autodidatta, suono con due dita, la tecnica non mi importa. Quello che faccio come artista non è far pensare quanto sono bravo, ma far pensare, attraverso opere, parole e omissioni.

Quello uscito a Natale è il primo disco interamente in dialetto noneso. Com’è nato? Quante canzoni contiene?

“No Hablo Ladino” non è un disco su quant’è bella la Val di Non, su quanto erano belli ‘sti ani. Racconta la Val di Non com’è adesso, con un nones che guarda più al futuro (o tutt’al più al presente) che al passato. Sono dieci canzoni fondamentalmente pop declinate in generi diversi a seconda del contenuto del testo. C’è il pezzo punk che parla di vizi, il pezzo folk che parla del nones, la ballad, il tango d’amore col piano, il pezzo grunge che parla di Florian Egger, il pezzo triste che parla di un vedovo, il pezzo per ballare, il pezzo per i boci, il pezzo psichedelico.

Qual è la canzone a cui sei maggiormente legato?

La canzone a cui sono più legato è “Montura”, un singolo tutto cantato di cinque minuti e mezzo che parla della moda della montagna per come viene vissuta al giorno d’oggi.

Da dove deriva il titolo del disco “No Hablo Ladino”?

L’anno scorso ero a Roma in tour, stavo spiegando a un amico il nones e il disco che stavo registrando. Mi ha buttato lì sta chicca e mi sembrava una buona sintesi. Volevo un titolo più universale che locale, che non si riferisse solo ai nonesi ma fosse comprensibile anche a chi non mastica la lingua. Mi è piaciuto così tanto che l’ho messo anche nella canzone dedicata al nones nei versi tutti internazionali che chiudono il ritornello che dice: “No hablo ladino, nidè si vu plé / I love you ma giai sé”.

Tre parole per definire il tuo disco.

A costo di sembrare “sborone”, questo è un disco è epocale, necessario, cazzutissimo. Epocale perché è il primo disco in nones mai scritto, quindi, ad oggi, il miglior disco in nones mai scritto. Necessario perché è l’unica produzione culturale contemporanea nonesa in cui non si parli di mele, di natura, di nostalgia, la triade che riassume qualunque produzione culturale valligiana da quando la frequento. Il libro di 140 pagine sulla Val di Non che lo accompagna, frutto della collaborazione con 40 artisti, è probabilmente il più bel libro mai pubblicato sulla Val di Non, nonché il più vario, il più contemporaneo e anche il più controverso. Cazzutissimo perché è un disco che ti dice le cose in faccia, che svela le ipocrisie e le miserie dei personaggi che lo popolano, che poi sono quelle di tutti noi.

Dove hai trovato l’ispirazione per comporre le varie canzoni?

Scrivere canzoni è una sorta di ossessione e anche una specie di droga. Ossessione perché quando parte l’idea hai proprio la necessità fisica di portarla a compimento e finché non l’hai chiusa è difficile pensare ad altro. Droga perché non sono il tipo di cantautore che scrive per superare momenti brutti, io scrivo per crearmi momenti belli. L’idea è di raccontare storie, anche scomode, che immergano l’ascoltatore dentro un mondo, un’atmosfera, una situazione.

C’è qualcuno in particolare a cui vorresti dire grazie?

Sicuramente la mia famiglia. Registrare un disco e fare concerti non sono attività che si confanno con la vita di una famiglia con due figli piccoli. Quindi ringrazio Francesca, a cui è anche dedicata una canzone nel disco (“Arent a ti”), Anita e Iuri che adesso girano per casa cantando “Pache! Fighe! Freni a man!”, la nonna Bruna e la zia Loretta per il costante aiuto. Al netto di Jacopo Broseghini dei Bastard Sons Of Dioniso che l’ha registrato, dei musicisti e artisti coinvolti. Senza la mia famiglia questo disco non esisterebbe. O, forse, se non avessi proprio una famiglia farei un disco l’anno, la mia vita sarebbe molto più rock ma anche meno divertente.













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