Fusione a tre: «Ignorato il mandato popolare» 

A due anni dai referendum Luigi Marchetti accusa di immobilismo i Comuni di Fondo, Castelfondo (di cui è consigliere) e Malosco. Ma anche la Regione


di Giacomo Eccher


CASTELFONDO. «Sono passati due anni da quando, nel 2016, le popolazioni di Castelfondo, Fondo e Malosco hanno deciso, con due distinti referendum, di fondere in uno solo i loro tre comuni. Da allora solo inerzia facendosi beffe di una chiara volontà popolare». A dirlo è Luigi Marchetti, capogruppo di minoranza a Castelfondo e tra i promotori, due anni fa nel suo comune, della consultazione popolare vinta con 204 sì contro 139 no ed una percentuale di votanti superiore al 75% degli aventi diritto.

Marchetti mette nel mirino la Regione, con il consiglio regionale (quello vecchio) che non ha preso posizione, ma anche i tre Comuni che sono rimasti “paralizzati” perdendo tempo prezioso. Un ricorso, non accolto dal Tar di Trento, contro il nome del nuovo Comune e una successiva presa di posizione, peraltro non vincolante, del Consiglio delle Autonomie Locali hanno complicato quella che doveva essere, per la Regione, una semplice formalità.

Un anno dopo il referendum, - ricorda Marchetti - il consiglio regionale, invece di istituire direttamente il nuovo Comune, approvava infatti una norma (art. 6 LR 10/2017) con la quale stabiliva che, dove il nome prescelto potesse risultare problematico, ferma comunque la validità del referendum istitutivo, i consigli comunali interessati alla fusione avrebbero dovuto proporre alla Regione, entro trenta giorni dalla sua richiesta, una o più denominazioni sostitutive, sulla quale, o sulle quali, la stessa Regione avrebbe poi convocato, come vuole la Costituzione, un ultimo e definitivo referendum. «Nessuno dei tre Comuni, tuttavia, ha riunito finora il proprio consiglio a tale scopo, disattendendo, in questo modo, non solo un preciso obbligo di legge (omissione in atti d'ufficio?) ma, soprattutto, un esplicito mandato popolare. Se la popolazione di un Comune si esprime con referendum in una determinata direzione, è infatti preciso dovere, politico e morale, della relativa amministrazione adottare tutti gli atti necessari affinché questa indicazione venga rispettata. Fare finta di nulla, senza fare niente, significa solo prendere in giro gli elettori che l'hanno stabilita e questo vale per ciascuno dei tre sindaci interessati, nessuno dei quali può giustificarsi colla mancanza di un accordo comune, perché ciascuno di essi avrebbe potuto procedere anche da solo, con una sua proposta».

Non solo i comuni, ma anche la Regione per Marchetti ha le sue belle responsabilità. «Il consiglio regionale avrebbe potuto risolvere questa impasse, disponendo che in tale caso, trascorso un ragionevole periodo di attesa, la nuova denominazione sarebbe stata proposta dalla giunta regionale (per esempio il nome del Comune con il maggiore numero di abitanti), ma, colle votazioni regionali alle porte, ha preferito non fare niente, alimentando, a mio giudizio, qualche dubbio ulteriore sull'utilità della Regione Autonoma come oggi concepita».

Adesso, però, le votazioni regionali sono passate, e se, dopo settanta giorni, non c'è ancora la giunta, ci sono pur sempre quasi dodici mesi per arrivare al primo gennaio 2020, quando dovrebbe nascere il nuovo Comune, sempre che non si voglia rimettere in discussione tutto quanto, come talvolta succede quando muta il quadro politico.

«Se così fosse, bisognerebbe non tanto concludere che le leggi regionali si fanno ma non si applicano, perché è sempre possibile (e legittimo) derogare con una legge posteriore ad una precedente, salvo poi, magari, riproporla, quanto prendere atto che il voto degli elettori di Castelfondo, di Fondo e di Malosco, che per ben due volte hanno deliberato di riunirsi, non vale un fico secco e che votare, di conseguenza, è spesso una briga inutile». (g.e.)













Scuola & Ricerca

In primo piano