l’omelia

Monsignor Tisi: «L’andrà tutto bene degli inizi è ormai sbiadito ricordo»

Il vescovo ha celebrato nel duomo il solenne rito della Pasqua. Parole amare nella sua omelia: «Dopo oltre un anno di pandemia frustrazione mista a rabbia sembra prendere il sopravvento, con fatica gli auguri escono dalle nostre labbra»


Claudio Libera


TRENTO. Si è celebrato nel duomo di Trento, il solenne rito della Pasqua di resurrezione, la festa più importante per la Chiesa cattolica. L’arcivescovo don Lauro Tisi ha presieduto la concelebrazione con canonici ed altri presbiteri, i diaconi, i lettori, il salmista del coro, i seminaristi, con il maestro organista Stefano Rattini, il Coro della Parrocchia del Duomo diretto da Paolo Delama.

L’arcivescovo, prima dell’inizio del lungo rito - trasmesso in diretta da Telepace Trentino sul canale 601 e da tutti i canali social della Diocesi - ha ricevuto in sacrestia gli auguri pasquali del Decano del Capitolo, quindi ci si è avviati in processione attraverso il transetto e poi verso l’altare maggiore. Poi si sono svolti i tradizionali “gesti”, quali i canti, l’attingere l’acqua al Battistero, l’aspersione verso i due transetti e la navata, gremita di gente sino alla capienza massima consentita, quindi il Gloria.

 

Don Lauro ha detto: «Dopo più di un anno di pandemia, quell’andrà tutto bene degli inizi è ormai uno sbiadito ricordo. Frustrazione mista a rabbia sembrano prendere il sopravvento: con fatica gli auguri escono dalle nostre labbra». E’ inevitabile e amara la constatazione con cui l’arcivescovo Lauro Tisi ha aperto l’omelia della Messa solenne di questa Domenica di Pasqua. «Come uscire da questa asfissia di speranza? Da dove riprendere il filo rosso della fiducia per tornare a respirare Vita?», si chiede l’Arcivescovo, indicando da subito una risposta: «La Parola di Dio ancora una volta ci soccorre: nel racconto delle apparizioni, il Risorto si assume in prima persona il compito di fugare dubbi, scacciare paure, aprire al futuro».

Ad attestare il Risorto anche la comunità dei discepoli che, pur nelle contraddizioni della storia, consente a monsignor Tisi di affermare: «Dopo duemila anni continua il miracolo della santità, fatto di uomini e donne trasformati in pagine di Vangelo, resilienti, fedeli al Dio della vita». Don Lauro conclude: «Non mi stancherò di dirlo: segno di Risurrezione è la meravigliosa umanità di Gesù consegnata dalle pagine evangeliche, rivelatrice di un amore “altro”, che fatichiamo a far diventare nostro, ma in realtà appartiene ai nostri desideri e alle nostre attese più profonde. Entriamo allora con i discepoli nel sepolcro e, da increduli, diventiamo credenti».

Ecco qui riportata l’omelia del vescovo Tisi: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto! Maria di Magdala non riesce a staccare il pensiero dalla morte: mai avrebbe immaginato di trovare la pietra ribaltata e di scoprire l’inutilità degli oli aromatici per ungere il Corpo del Signore. Questa donna, oppressa dal ricordo struggente del Maestro, interpreta pienamente lo stato d’animo con cui viviamo questa Pasqua. Dopo più di un anno di pandemia, quell’andrà tutto bene degli inizi è ormai uno sbiadito ricordo. Frustrazione mista a rabbia sembrano prendere il sopravvento: con fatica gli auguri escono dalle nostre labbra. I teli della morte ripiegati, la pietra sepolcrale rimossa, la tomba vuota non riescono – a differenza dei discepoli – a farci correre al sepolcro per dar credito alla Vita che vince la morte. L’ispezione al sepolcro da parte di Pietro e dell’altro discepolo sono icona della Chiesa chiamata a testimoniare il Crocifisso Risorto. Il cuore dell’annuncio ecclesiale fatica a far breccia nel nostro cuore. Ci ritroviamo a gestire un triste quotidiano, intriso di stanchezza, lamento, rivendicazioni e rabbia. Come uscire da questa asfissia di speranza? Da dove riprendere il filo rosso della fiducia per tornare a respirare Vita? La Parola di Dio ancora una volta ci soccorre: nel racconto delle apparizioni, il Risorto si assume in prima persona il compito di fugare dubbi, scacciare paure, aprire al futuro. Per Maria di Magdala, gli apostoli e i discepoli di Emmaus, l’approdo alla fede nella Risurrezione è frutto dell’iniziativa del Risorto che spiega le Scritture, prepara pane e pesce arrostito, mangia con i discepoli, offre la sua pace. Pur nella difficoltà di questa Pasqua, ci è offerta la possibilità di ripercorrere lo stesso itinerario, trovando ancora nelle Scritture le conferme della Risurrezione. Ne è prova la comunità dei discepoli. Dopo aver abbandonato, tradito, rinnegato il Maestro, si ricompatta, ritrova coraggio e riconosce in Lui il collante attorno a cui legare la propria vita e, come ci ricorda il testo degli Atti, giungere al dono estremo di sé. Questa comunità nel corso della storia ha tradito e continua a farlo, spesso si è allontanata dal Maestro, ha oscurato il Vangelo. Tuttavia, dopo duemila anni continua il miracolo della santità, fatto di uomini e donne trasformati in pagine di Vangelo, resilienti, fedeli al Dio della vita. Lo conferma la lunga teoria di martiri, mai – lo ricorda spesso papa Francesco – così numerosi come in quest’ora della storia. Lo documenta il banchetto Eucaristico che da duemila anni, ogni domenica, raccoglie, a tutte le latitudini, uomini e donne che ascoltando la Parola e condividendo il Pane spezzato, diventano servizio e dono. Non mi stancherò di dirlo: segno di Risurrezione è la meravigliosa umanità di Gesù consegnata dalle pagine evangeliche, rivelatrice di un amore “altro”, che fatichiamo a far diventare nostro, ma in realtà appartiene ai nostri desideri e alle nostre attese più profonde. Entriamo allora con i discepoli nel sepolcro e, da increduli, diventiamo credenti».

Al termine del rito la solenne benedizione, il congedo cantato con il duplice alleluia e l’antifona mariana pasquale. Poi, causa le stringenti norme, si è svolta solo una brevissima processione conclusiva.













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