Il compleanno

Martha Ebner, cent’anni pieni di storia e di vita 

Dal primo ricordo di un Natale con l’albero addobbato da una maestra delle Katakombenschulen alle bombe, dalla paura alla ricostruzione, dai figli ai nipoti e alla guerra in Ucraina


Luise Malfertheiner


ALDINO. Una donna, un secolo. Dopodomani, lunedì di Pentecoste Martha Flies Ebner festeggia il suo centesimo compleanno. Con il fascismo e il nazionalsocialismo ha dovuto provare sulla propria pelle la storia del mondo. La più recente storia locale l’ha vissuta a distanza ravvicinata, ci si è perfino trovata direttamente coinvolta, senza mai cercare un posto in prima fila. «Mi accontento di come è andata» dice. Anche se la vita non l’ha trattata con i guanti di velluto. Ripercorriamo con lei ogni decennio.

1922 – 1932

Signora Ebner, il primo ricordo?

Un Natale. Tutta la famiglia era riunita.C’era sempre anche lo zio, il canonico Gamper. Confesso, ci ho creduto a lungo a Gesù Bambino, fino a quando una mia compagna di scuola mi disse: ma sei cretina. A casa nostra è sempre stata una maestra delle Katakombenschulen ad addobbare l’albero… tutte le volte questa signora arrivava all’ultimo momento con il viso paonazzo e poco dopo il campanellino si metteva a suonare.

Fino a quando ha creduto a Gesù Bambino?

Fino alla quinta (ride).

A proposito di scuola. Lei era obbligata a frequentare la scuola italiana. Com’era per una ragazzina di lingua tedesca?

A Bolzano c’erano due scuole per ragazze: la Cairoli, pubblica, e la scuola privata Santa Maria, da me frequentata, gestita dalle suore. Mio zio, il canonico Gamper, abitava di fronte alla scuola, nel collegio Santa Maria, l’attuale clinica. Per questo motivo conoscevo bene certe suore: loro nel collegio parlavano tedesco, ma a scuola esclusivamente italiano. Abbiamo imparato la lingua con l’ausilio delle immagini.

Un secolo di vita e di storia vissuto in prima linea: i 100 anni di Martha Ebner

Un secolo, 100 anni di vita e di storia, passando dall’incubo del nazifascismo e della Seconda guerra mondiale alla costruzione dell’autonomia e del Sudtirolo che oggi conosciamo: Martha Ebner festeggia oggi il suo 100° compleanno. Nata il 6 giugno 1922 a Bolzano, si trovò a fronteggiare la violenza del fascismo e del nazionalsocialismo ai tempi delle opzioni, rimanendo nella sua Heimat. Lavorò al fianco dello zio, il canonico Michael Gamper, nella casa editrice Athesia. Nel 1944 sposò Toni Ebner, sostenendolo attivamente nella costruzione della Südtiroler Volkspartei. Martha Ebner è tutt’oggi direttrice della rivista “Die Südtiroler Frau”, cofondatrice dell’associazione “Frauen helfen Frauen” e dell’Assistenza tumori Alto Adige, insignita dell’Onorificenza del Land Tirolo.

La piccola Martha come se l’è cavata a scuola?

Ero nella media. Ero una bricconcella. Pensi che ho perfino marinato la scuola. Con una compagna di classe. Siamo tuttora amiche, c’è solo mezzo anno di differenza d’età. Festeggiamo insieme i nostri compleanni.

Cosa ha reso tanto longeva questa amicizia?

Abitavamo nello stesso edificio. Per tanti anni. Nemmeno il periodo delle opzioni è riuscito a intaccare la nostra amicizia. Lei era di una famiglia di optanti, io di una di Dableiber.

Torniamo al periodo del fascismo: Lei ha frequentato la vietatissima scuola nelle “catacombe”. Com’era per una bambina?

La formazione delle maestre delle Katakombenschulen ebbe luogo di fronte al collegio Santa Maria, al piano superiore. Io facevo da “cavia”. Per un bambino era un conflitto. Da un lato non si poteva raccontare nulla, dall’altro c’era l’ottavo comandamento: non pronunciare falsa testimonianza, con la conseguente paura dell’inferno e delle forze dell’ordine. Non era facile per noi bambini.

Inoltre ha frequentato lezioni di tedesco.

Sì, lezioni di tedesco con Roland Riz presso suora Beatrice, nel convento delle terziarie. Roland Riz aveva cinque anni meno di me e ci conosciamo da allora. Quando ero bambina mi sembrava un ragazzino un po’ viziato (ride).

1933 – 1942

Nel 1938 Hitler attraversa l’Alto Adige in treno. Se lo ricorda?

Molto bene. La gente era andata alle stazioni per aspettare il passaggio di Hitler, ma lui teneva chiuse le tende. La gente era estremamente delusa. Pensavano che sarebbe venuto a salvarli. E invece se ne infischiava di noi.

Ha mai visto Hitler da vicino?

Quando dal 1935 al 1939 ho frequentato una specie di ragioneria presso le cistercensi a Landshut, passavo le vacanze a Monaco. Vidi Hitler, a pochi metri di distanza, scendere dall’automobile. Le persone erano entusiaste. Ho visto anche le manifestazioni dei nazisti presso la Feldherrnhalle e sulla Köngisplatz. Mi ha colpito il fanatismo espresso da questa gente. Era il motivo, per il quale, alle opzioni, poi ho deciso di non andarci.

Poi è arrivata la guerra ...

La guerra, i bombardamenti: uno shock. Mi basta guardare la Mendola perché i ricordi ritornino. I bombardieri sono sempre venuti da sopra la Mendola, per lanciare le bombe su Bolzano. Erano spaventosi: come arrivavano in formazione, il rombo. Ci rifugiavamo in cantina o nei rifugi, a causa dei bombardamenti non c’era la luce. In genere bombardavano a mezzogiorno. Non appena le sirene davano l’allarme, correvamo nel rifugio antiaereo presso le passeggiate di Sant’Osvaldo. Ho ancora la paura addosso. Sa, sono una persona piuttosto pavida.

E se vede le immagini della guerra in Ucraina?

Terribile. Da noi non era grave come in Ucraina. Ma l’angoscia torna immediatamente.

1943 – 1952

Si è sposata nel bel mezzo della guerra, nel 1944. Come mai?

Anche mio marito era un Dableiber e ufficiale nell’esercito italiano. Al momento del “ribaltone”, nel 1943, si trovava a Firenze. Si è rifugiato. E, da laureato in legge, ha trovato lavoro da contabile addetto alle paghe presso un’impresa a Ghedi nella provincia di Brescia. In Alto Adige ci sarebbero stati problemi con i nazisti. L’impresa costruiva aeroporti e ripristinava le linee ferroviarie dopo i bombardamenti. Il titolare dell’impresa era il padre del politico della ÖVP (il partito popolare austriaco) Andreas Khol. Ci siamo sposati, e per un anno abbiamo vissuto a Ghedi. Da Ghedi una volta siamo andati a Firenze, per far visita al canonico Gamper, che era fuggito lì. Dall’Alto Adige non avremmo mai potuto andarci, per paura che i nazisti potessero mettersi sulle nostre tracce e seguirci fino a scoprirlo.

La fine della guerra fu una liberazione?

Non esattamente. Era traumatica per mio marito e per me. Alla fine eravamo a Sirmione, dove l’impresa aveva una filiale e in fondo eravamo intenzionati a rimanervi. Gli americani e gli italiani non ci faranno niente, ci dicevamo: siamo Dableiber. Ne eravamo convinti.

Da dove arrivava per voi il pericolo?

Dai partigiani. Per non dover andare a Bergamo, una roccaforte dei partigiani, dove l’impresa aveva un’altra filiale, mio marito si era fato operare l’appendice nell’ospedale militare della Wehrmacht. Probabilmente quest’intervento ci ha salvato la vita. Se avessimo dovuto andare a Bergamo, ci avrebbero fucilati. A Sirmione poi sono state rubate le nostre belle biciclette. A questo punto ci siamo chiesti: se oggi ci rubano le bici, cosa ci faranno domani? Pertanto ci siamo uniti al gruppo della Wehrmacht, abbiamo dormito in tenda e attraverso la valle dell’Adige abbiamo raggiunto Lana. Ci hanno dato un passaggio, perché i tedeschi erano tutti partiti. Eravamo tanto contenti. Perché i nazisti finalmente se ne erano andati. La fine di un incubo.

Nel 1945, due anni dopo la sua fuga dall’Alto Adige ha riportato il canonico Gamper da Roma a casa ...

Quasi non ho riconosciuto mio zio, da quanto era dimagrito. Sono andata a prenderlo insieme al frate cappuccino Eusebio. Durante il viaggio di ritorno ci siamo fermati in ogni campo di prigionia, dove fossero detenuti soldati altoatesini della Wehrmacht.

Quanto erano persistenti le immagini dei “funghi atomici” sopra Hiroshima e Nagasaki?

Era terribile, ma molto distante, quasi come la recente guerra in Afghanistan. Le notizie allora arrivavano solo tramite il giornale o la radio. Non come oggigiorno, che si vedono subito tutte le atrocità, gli eventi tragici e drammatici.

La sua vita è stata intrecciata alla politica sin da quando era piccola. Nel 1945 venne costituita la SVP.

Tramite il canonico, i fascisti e la scuola italiana ero coinvolta sin da piccola, che lo volessi o meno. Ricordo ancora la costruzione del partito, quando mio marito e Friedl Volgger giravano paese per paese, per tesserare nuovi iscritti. E che entusiasmo c’era in provincia. Era impressionante la capacità d’unione, nonostante i Dableiber veissero repressi dagli optanti. Senza dubbio era merito del canonico Gamper e di Erich Amonn. “Niente oblio, ma nemmeno vendetta - dissero -. Ora ci vuole l’unione nell’interesse dei sudtirolesi”. E ha funzionato.

Altrimenti?

Sarebbe continuata la discordia del 1939 e non avremmo avuto l’autonomia. Il merito della fondazione del partito era dei Dableiber. Amonn poteva dichiarare: “Noi Dableiber non eravamo nazisti”. Per questo motivo gli americani hanno acconsentito.

A cent’anni è stata confermata nel ruolo di rappresentante degli anziani nella città di Bolzano. Dopo la recente baraonda, la SVP continua a essere il suo partito?

L’immagine del partito non è stata appannata. All’interno di un partito di raccolta ci sono sempre stati disaccordi. Basta ricordare Dietl o Jenny. Ma finora è sempre stato possibile accomodare le questioni, senza coinvolgere più di tanto l’opinione pubblica.

Lei non è sempre stata lontana dalle polemiche. Oggi, non potrebbe sciogliersi un po’?

No, il contegno è rimasto immutato.

1953 – 1962

Questo decennio è stato duro per lei. Suo figlio Jörgele muore durante un intervento chirurgico. Cosa ha provato?

Non c’è niente di peggio per una madre. Ogni volta che passo di fronte alla clinica Santa Maria è come se fosse stato ieri. L’incubo continua tutte le volte che un familiare si ammala o si è in attesa di un intervento chirurgico.

Anche il decesso del canonico Gamper nel 1956 ricorre in questa decade ...

Ero al suo letto di morte, a casa sua, a Gries. Dopo un ricovero in clinica a Monaco vi era stato portato in autoambulanza. Il professor Settimi, il primario di chirurgia nell’ospedale, aveva predisposto i supporti per le trasfusioni. Li aveva appena visti, quando mio zio disse: “È arrivata l’ora, non mi faccio più attaccare.” Il canonico Aufderklamm e io siamo andati alla Deutschaus (sede dell’ordine teutonico), per prendere una particola. Il canonico ci aveva raccomandato di portargliene solo un quarto, perché non sarebbe più stato in grado d’ingoiarne una intera. In questo modo ha ancora preso la comunione. Era la domenica del Buon Pastore. Stavamo pregando, disposti in ginocchio intorno al suo letto. Ha partecipato alla preghiera fino alla fine. Fino a quando, di colpo, è ammutolito. Era la prima volta che assistevo un moribondo. Il corteo funebre sembrava non finisse più. C’era così tanta gente, che si doveva andare a piedi dal duomo fino al cimitero, a Oltrisarco.

Torniamo sul palco politico, sul quale nel 1960 apparve Silvius Magnago. Lei lo conosceva già.

Lo conoscevo da quando aveva ancora entrambe le gambe. Conoscevo anche sua madre. Eravamo anche amici “a coppie”. Per me era sempre stato Nino: ero tra i pochi a chiamarlo in quel modo. Magnago era un personaggio singolare, esigente verso se stesso e gli altri. Una volta disse che gli sarebbe piaciuto fare il direttore d’orchestra, perché tutti avrebbero dovuto seguire la sua bacchetta.

Gli anni 1960 erano gli swinging sixties. Le piaceva ballare?

Sì. Mi piaceva ballare. E non solo negli anni ’60. Sull’alpe della val d’Ega e, più tardi, alle feste private. A mio marito però il ballo non piaceva tanto, ma c’erano sempre compagni di ballo. Ho ballato di tutto, valzer, valzer inglese ecc. non so se fossi una ballerina di temperamento (ride).

1963 – 1972

Gli anni ’60 erano tempi inquieti. Ai funerali di Sepp Kerschbaumer sono arrivate quindicimila persone. Lei non andò.

Non avevo nessun rapporto, né con Sepp Kerschbaumer né con il BAS (Befreiungsausschuss Südtirol – comitato per la liberazione dell’Alto Adige). Le bombe erano un incubo per me: perché hanno minacciato mio marito e la mia famiglia. Vivevamo nel terrore. Temevamo che venissero a casa nostra. “Sappiamo, dove trovarvi,” ci fecero sapere.

Poi, con il 1972 e lo statuto d’autonomia le cose sono cambiate. I sudtirolesi l’hanno compreso?

La maggior parte delle persone ha capito che erano iniziati tempi diversi. Eravamo tornati padroni nel nostro territorio.

1973 – 1982

Lei era una provetta automobilista. Come ha vissuto la crisi del petrolio?

Ricordo le strade vuote e le domeniche senza le automobili. Erano fantastiche.

Con il terremoto del 1976 nel Friuli era un po’ come con l’11 settembre. Ha sentito le scosse?

Mio marito e io eravamo ad Aldino e stavamo tornando a casa in macchina. Non appena arrivati, ci chiama nostro figlio Michl e ci racconta che all’Athesia tutto aveva iniziato a tremare e che lui era sceso in cortile. Noi in macchina non ci siamo accorti di niente.

Nel 1981 suo marito Toni morì in seguito a un infarto. Ha mai superato la perdita?

Era come se mi avessero tolto la terra da sotto i piedi. Stavo andando al reparto di terapia intensiva, con mia figlia Astrid per mano, quando qualcuno disse: “Sta molto male”. Ero seduta: un medico mi si avvicinò e disse in modo insensibile: “È morto”. Un modo insopportabile. Ero come impietrita.

Come ha superato la morte di suo marito?

Non ci si riprende mai completamente. Si impara a conviverci. Il vuoto non può più essere riempito.

1983 – 1992

Nel 1985 il Trentino è colpito da una catastrofe. Crolla la diga a Stava e seppellisce quasi trecento persone ...

Aldino è a due passi da Stava, era terribile la paura per amici e conoscenti. Ricordo i voli continui degli elicotteri, in entrambe le direzioni.

Nel luglio 1988 papa Giovanni Paolo II venne a Pietralba, quasi a casa sua. Ma lei non c’era, perché?

Perché stavo facendo la babysitter per mio nipotino Anton. Ci sono andati mio figlio Toni e mia nuora Margit, io sono rimasta col piccolo, a seguire la visita in televisione.

Oltre a Magnago era presente anche quando Luis Durnwalder fu eletto presidente della giunta provinciale. Pensava che sarebbe diventato un personaggio politico così importante?

Conoscevo appena Luis Durnwalder. Però si sapeva che fosse un uomo politico capace. Era l’unico con le capacità necessarie per diventare presidente della giunta provinciale.

Poi un ometto magrolino uscì dal ghiacci, destinato a diventare una stella di fama mondiale...

Confesso: il ritrovamento di Ötzi non mi ha impressionato più di tanto, mi impressiona molto di più il fatto che ora si pensi di trasferirlo sul Virgolo.

La caduta del muro di Berlino è stata una vera e propria pietra miliare. Lo riteneva possibile?

Assolutamente no. Come ora non si ritiene possibile che scoppi una guerra nel mezzo del continente europeo.

1993 – 2002

L’accordo di Schengen l’ha reso possibile, dal 1998 le barriere del confine sul Brennero fanno parte del passato. Che sensazione ha provato?

Non avrei mai immaginato, che lassù un giorno si potesse passare senza barriere. Attraversare il confine senza dover esibire la carta d’identità è un sollievo, ancora oggi.

L’11 settembre 2001 è una data che ha cambiato il mondo. Cosa ricorda di quel giorno?

Lo ricordo benissimo. La televisione era accesa e ho dovuto guardare ripetutamente, perché non ero in grado di realizzare. Le immagini erano traumatizzanti. Puro orrore. Non riuscivo a staccarmi dalla televisione. Anche in questo caso c’è da dire che è inimmaginabile che cose del genere possano succedere.

2003 – 2012

Quasi 228.000 persone hanno trovato la morte a causa di uno tsunami nel 2004. Lei già sapeva cosa fosse uno tsunami?

Sì, certo. Una mia conoscente, un’insegnante ha riportato gravi ferite per questo tsunami. Io ho passato molto tempo al mare con i miei figli, anche sul mare del Nord, con le maree molto alte. Lì ci si fa un po’ un’idea. Ma che sia possibile che si possano accatastare onde di tale altezza e che si veda cosa stia arrivando, senza tuttavia riuscire a immaginarselo, è semplicemente spaventoso.

Il 25 maggio 2010 muore Silvius Magnago e un interminabile corteo funebre lo accompagna al camposanto.

Sì, il funerale era impressionante. Le persone lo hanno apprezzato molto. Magnago era una persona integerrima. Viveva per la politica e non aveva niente oltre la politica, a parte la vigna dietro a casa sua a Bolzano e la sua casa di villeggiatura a Velturno.

2013 – 2022

Nel 2013 papa Benedetto si dimette.

È impressionante, che un papa si dimetta, che una persona dichiari spontaneamente: mi basta. Non l’avrei ritenuto possibile. Una volta ero presente a una udienza in piazza San Pietro, l’ho apprezzato molto.

E papa Francesco?

Francesco è un tipico sudamericano. Hanno un rapporto completamente diverso con la vita. Senza la nostra frenesia. Hanno questa sconfinata tranquillità. Papa Francesco non sembra mai agitato. E infatti credo che non lo sia.

Uno invece che era arrivato e che voleva rimanere a tutti i costi, era il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Lei come lo inquadra?

È incomprensibile che a qualcuno sia venuto in mente di votarlo. Spesso sembrava un personaggio da barzelletta. Ma gli americani sono un popolo del tutto particolare. In merito a Biden: ero contenta che Trump non fosse stato rieletto, ma mi sembra strano che non siano riusciti a trovare nessuno più giovane per una tale carica. Una prova d’incapacità.

All’inizio del 2020 siamo stati colpiti dalla pandemia. Che effetto le ha fatto il Covid?

Mi ha spaventata. Mi hanno afflitto i 21 giorni di isolamento, quando mi sono ammalata nel gennaio del 2021. Mi lasciavano i pasti davanti alla porta. Un trauma. Le notti erano terribili: ero angustiata da incubi. Certe volte non sapevo più dove mi trovassi. Ma ho superato bene tutta la malattia.

La vita è in debito con lei? Oppure lei con la vita?

Nessuna delle due. Sono contenta di come sia andata. Non ho mai pensato d’arrivare ai cento, e di colpo ci sono.

Che cosa si augura a una centenaria?

Che rimanga in buona salute e che possa partecipare alla vita sociale.

A 90 anni ancora non aveva bisogno degli occhiali da lettura, e ora?

Tuttora non ne ho bisogno, ma gli occhi sono diventati un po’ più fotosensibili.

C’è qualcosa che nella sua vita farebbe in modo diverso?

Sì, educherei i miei figli in modo meno severo. Perché oggi vedo che è possibile farlo anche con metodi più rilassati. Ma una volta si faceva così.

Per cosa è particolarmente grata?

D’essere relativamente sana e per avere dei figli meravigliosi.

Lei ha vissuto il fascismo, il nazionalsocialismo, la guerra. I suoi nipoti e pronipoti si trovano di fronte a un cambiamento climatico difficilmente valutabile, alla guerra in Europa, alle ondate di profughi...

La generazione dei miei nipoti sin dall’inizio ha avuto molto più di noi: cose materiali, scuola, formazione, viaggi. In questi termini hanno la vita notevolmente più piacevole. Inoltre sono stati educati in modo meno severo. Ma non li invidio il loro futuro. Tuttavia, come la nostra generazione è riuscita a superare i problemi, anche la prossima riuscirà a cavarsela. Il mio consiglio è dunque: siate ottimisti!













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