processo neumair

Madè dopo la sentenza: «Mi sono risvegliata leggera, posso ricominciare a vivere» 

Sabato la condanna all'ergastolo di Benno. Domenica la sorella Madè Neumair è salita sul Renon insieme a zia Carla e zio Gianni. Per i familiari di Laura e Peter l’esito del lungo processo rende giustizia alle vittime e mette fine a un doloroso capitolo


Paolo Tagliente


BOLZANO. Una lunga passeggiata sul Renon. Per stare insieme qualche ora e ritrovare un po’ della serenità perduta e cominciare a riprendere in mano la propria vita. Quella compiuta domenica 20 novembre, per Carla Perselli, per il marito Gianni e per Madè Neumair, non è stata un’escursione come le altre. Il dolore resta, ovvio, ma la sentenza pronunciata sabato sera dalla Corte d’assise di Bolzano, che ha condannato Benno Neumair all’ergastolo per l’omicidio dei genitori Laura e Peter, ha idealmente chiuso un capitolo delle loro vite.

«Dopo tanta stanchezza – rivela Carla Perselli, sorella di Laura – oggi mi sento alleggerita. È finito il tempo delle udienze in tribunale, tante e pesanti. Ecco, quel percorso è finito. Devo dire che, in questi difficilissimi mesi, ho apprezzato l’etica e la deontologia dei sostituti procuratori Iovene e Secco, del giudice Busato e ovviamente dei nostri legali, Bertacchi e Valenti. Hanno mostrato una grande integrità ed è bello sapere che persone così rappresentano le istituzioni dello Stato. È stata una dura prova, nessuno ha vinto, ma la verità processuale c’è e credo che, al di là della sentenza di primo grado, sia stata evidenziata l’onestà dell’essere umano». Come per la zia, anche per Madè Neumair, sorella di Benno, la sentenza ha avuto un effetto inatteso. «Mi sono svegliata più leggera – spiega – e non me lo sarei mai aspettata». Madè racconta anche come ha vissuto la lettura della sentenza, cercando di descrivere quanto intensi siano stati quegli attimi. «In quei secondi, la tensione era altissima, l’atmosfera era elettrica. Quando il giudice Busato ha iniziato a leggere il dispositivo, il mio campo visivo s’è ristretto su di lui. Vedevo solo lui e attorno a me non c’era nessun altro. Me ne rendo conto solo oggi, a molte ore di distanza. Come ho detto sabato sera, però, ribadisco che la verità ha vinto. Non ci sono vincitori, nessuno mi ridarà i genitori, ma mi ritengo fortunata ad aver ottenuto una verità processuale. La giuria ha fatto la cosa giusta. E quando il giudice ha pronunciato le parole “omicidio aggravato” sia per la morte di Laura Perselli che per quella di Peter Neumair è stato come se fosse arrivata l’ufficialità che i miei genitori erano stati uccisi».

Quelle parole, insomma, anche a livello psicologico, hanno messo il sigillo alla vicenda, confermando al di là della confessione di Benno, al di là delle prove raccolte e delle tante perizie, al di là della battaglia legale tra procura, difesa e parti civili, che quella sera del 4 gennaio 2021, Laura e Peter sono stati uccisi dal figlio. Sembrava scontato. Era scontato. Per Madè, però, la sentenza di sabato ha idealmente trasformato le ricostruzioni di questi mesi in un fatto reale. Doveva essere fatto, non certo per vendetta nei confronti del fratello. E tutto si riassume nelle parole che lei stessa ha pronunciato in lacrime dopo la lettura della sentenza: «Il senso di ciò che ho fatto era dare la voce ai miei genitori e credo di esserci riuscita».

Anche Gianni Ghirardini,marito di Carla e zio di madè e Benno, ha partecipato all’escursione sul Renon. Una scelta quasi obbligata per staccarsi anche fisicamente da Bolzano. «Sabato, ho avvertito tutta la tensione del momento – spiega Gianni – e quando, dopo 600 giorni difficilissimi, ho sentito pronunciare la parola “ergastolo” per mio nipote, ho avuto un brivido e ho iniziato a piangere». Quel nipote ha cui aveva voluto bene. «Dopo l’omicidio – continua Gianni – e dopo il ritrovamento dei corpi di Laura e Peter, la sentenza di venerdì rappresenta una sorta di secondo funerale. Un sigillo». Nei loro cuori, nemmeno dopo aver metabolizzato il pesantissimo verdetto di primo grado, non c’è odio. Ora restano il dolore, fortissimo come il primo giorno, due assenze il cui vuoto non sarà possibile colmare, ma l’odio non ha trovato spazio. Benno è fratello, un nipote e non possono gioire per gli anni di carcere che lo attendono. Vale la pena ricordare che per ognuno dei due omicidi, il giovane è stato condannato all’ergastolo, con ulteriori tre anni di reclusione per la soppressione dei due cadaveri, gettati nell’Adige e recuperati tra mille difficoltà dopo alcune settimane. Due ergastoli e tre anni di reclusione che, all’atto pratico, si traducono nell’ergastolo con un anno di detenzione in isolamento e al risarcimento delle parti civili da quantificare davanti al giudice civile.

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