L’appello

Le terribili storie dei profughi afghani, Trento lancia l’allarme: «Tutti sono in pericolo»

La scrittrice e operatrice del Centro Astalli Angela Tognolini: «Chi arriva qui da noi ha dovuto affrontare un viaggio terribile, portando con sè ricordi come pietre»


Fabio Peterlongo


TRENTO. «In un Afghanistan dilaniato dal conflitto, tutti sono in pericolo, soprattutto le persone di cui non ci giunge notizia». Con queste parole l’operatrice del Centro Astalli di Trento e scrittrice Angela Tognolini descrive il dramma dell’Afghanistan abbandonato dagli occidentali e in cui i Talebani hanno tornato a fare da padroni.

Tognolini ha raccolto numerose storie dei profughi approdati in Trentino nel corso degli anni, perché l’emergenza umanitaria nel paese centro-asiatico è una questione aperta da tempo: «Sono anni che ascoltiamo le storie delle persone che fuggono da quelle zone dell’Afghanistan dove la vita è resa tremendamente difficile da un conflitto che dura da decenni.

Giovani come Abdallah, che non ha mai conosciuto la pace ed è fuggito per evitare di essere costretto a entrare nei ranghi delle milizie. Oppure come Dawood, che possedeva delle terre e una buona rendita, ma era vessato dalle continue richieste di pizzo dei talebani insediati nella sua zona. Ci ha raccontato che le milizie fondamentaliste si prendono tutto: il raccolto, i soldi, le sementi. E se le persone non pagano, danno fuoco ai campi».

La riconquista talebana ha strappato i fili precari di quelle esistenze che, anche in virtù delle promesse occidentali, avevano cercato di dare una forma dignitosa alla loro vita: «È il caso di Ali, che ha studiato alla scuola americana, - sottolinea Tognolini - fino a quando i talebani non sono arrivati e hanno rapito tutti i ragazzi, lui incluso».

La sorte non è migliore per coloro che sono sospettati di aver collaborato con gli occidentali: «È quello che è successo a Mohamed, che voleva soltanto lavorare nel cantiere vicino a casa per mantenere la sua famiglia, ma che è stato considerato un collaboratore degli americani perché l’edificio in costruzione era pagato con fondi internazionali», indica Tognolini.

L’esito di queste persecuzioni è la fuga verso quei paesi occidentali che probabilmente hanno illuso gli afghani con il miraggio di un avvenire democratico e pieno di opportunità: «Abdallah, Dawood, Ali e Mohamed e tutti gli altri sono arrivati in Trentino dopo viaggi terribili, in cerca della pace, portando con sé ricordi pesanti come pietre», racconta l’operatrice del Centro Astalli, che riporta le parole di uno degli sfollati: «Quando una sera i talebani erano venuti a prendere suo padre, la madre lo ha nascosto dentro al forno di casa, perché non portassero via anche lui. Quando il giorno dopo era andato a prendere il corpo del padre abbandonato in strada, ha visto che gli avevano strappato gli occhi».

Questi racconti arrivano dall’Afghanistan rurale, quello lontano dalla capitale Kabul e dai centri urbani controllati fino a poche settimane fa dalle forze Nato, zone distanti dai “riflettori” dei media e che da anni rappresentavano il “santuario” dei Talebani mai del tutto espugnato. Ma ora che anche l’ultimo soldato occidentale ha abbandonato il paese, il controllo dei Talebani è totale: «Gli eventi di questi giorni ci sconvolgono ancora più profondamente - evidenzia Tognolini - Perché se fino a qualche settimana fa forse c’era un modo, pur difficile, di vivere una vita dignitosa in Afghanistan, adesso quel modo sembra definitivamente scomparso. E così, con l’avanzata dei talebani nel paese, queste storie terribili si moltiplicheranno. Sia che riescano ad arrivare alle nostre orecchie, sia che rimangano nel silenzio».

Ed ora, dopo la resa ai Talebani voluta dal presidente Trump e confermata dal presidente Biden, la politica nostrana si divide sull’accoglienza dei profughi: «Perfino adesso, con il disastroso collasso del governo afghano e le prime azioni dei nuovi governanti volte a soffocare nel sangue la resistenza della popolazione, ci sono persone che parlano di non accogliere, di non aprire le porte ai profughi, che reagiscono al dramma di queste persone con diffidenza invece che con empatia.

Per questo dobbiamo fare in modo che il dramma di questo paese non resti soltanto una notizia da prima pagina per un paio di settimane, prima che altre più nuove disgrazie vengano a cancellarlo dalle nostre menti» riflette Tognolini, che individua nelle prossime settimane i campanelli d’allarme che devono richiamare l’attenzione dei governi occidentali e dell’opinione pubblica: «Cominceremo a sentire di persone che fuggono dall’Afghanistan e che vengono bloccate in Turchia o in Bosnia, lungo quella rotta balcanica che è chiusa da troppo tempo. Sentiremo discorsi di chiusura e di diffidenza, che cercheranno di fare distinzioni tra persone afghane meritevoli di protezione e persone afghane che non lo sono. Finiti i primi corridoi aerei per le persone che giustamente riescono ad accedervi, il resto della popolazione rischierà di essere lasciata sola, nell’indifferenza».

Ed è proprio il rischio dell’indifferenza e dell’oblio la minaccia più grande: «È importante ricordarsi che in un Afghanistan dilaniato dal conflitto tutti sono in pericolo, - evidenzia Tognolini - Soprattutto le persone di cui non ci giunge notizia. Questo non è il momento di chiudere le porte».

(Per proteggere l’identità delle persone protagoniste di queste storie vere, i nomi utilizzati sono di fantasia).













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