La storia

Il nazismo, la prigionia: Arturo “ritrovato” 77 anni dopo

Arturo Bettinelli, neanche 30 anni, contadino milanese, fu fatto prigioniero dai nazisti e portato al lager di Bolzano ma di lui si sono perse le tracce fino a quando la nipote Teresa Bettinelli, scrive all'archivio storico di Bolzano che risale alla morte avvenuta nel campo di Dachau


Paolo Campostrini


BOLZANO. Chissà dove avrà trovato la matita per vergare quel biglietto. La carta, l'aveva invece presa strappando la copertina di una rivista, lasciata sul sedile da chissà chi. "Bellezze d'Italia" si chiamava. Sul retro, il suo indirizzo: "Alla famiglia Bettinelli Lodi per Corte Palasio, cascina Ronchi, provincia di Milano". Sul fronte, l'invocazione: "Per avvertire che Arturo va in Germania". Poi, dal finestrino dell'autocorriera che lo stava portando al treno diretto al lager di Bolzano, lo gettò fuori, in strada, in un momento di distrazione delle guardie naziste.

Era giovane, Arturo Bettinelli. Neanche trent'anni. Faceva il contadino e, per via di una gamba finita sotto un carretto durante il lavoro nei campi, era stato dichiarato inabile al servizio militare. Ma poi, nel '44, il suo padrone gli chiede di portare una lettera al figlio, soldato a Genova.

L’arresto

Lui è incerto. L'Italia del nord è sotto il tallone della Wehrmacht, ci sono i partigiani, c'è terrore per chiunque si muova fuori zona. "Voglio che tu gli consegni questo documento, niente storie!". Ed è con questa carta in tasca, ritenuta sospetta visto che Arturo è un civile, che viene fermato dai tedeschi e, senza troppe storie, fatto salire su un automezzo e poi su un treno, destinazione via Resia. Da lì, ha tempo di scrivere ancora una lettera. Rassicura i suoi: "Sto bene". Ma non dura a lungo la speranza. Bettinelli viene inghiottito dal silenzio. Nessuna notizia per anni. Lo danno per morto a casa, ma il peggio è che non si sa dove ne come. Solo un filo lega ancora Arturo ai suoi. Tenuto in piedi da una missiva inviata poco dopo il suo arresto, da una signora pietosa, Ada Ressi Nato, milanese, che per un caso ha in mano lo strappo di Arturo con la sua ultima comunicazione: "Spiace dovervi annunciare che al passaggio di una autocorriera mi hanno gettato il presente biglietto che vi accludo... Sentitamente vi saluto partecipando al vostro dolore...".

Il biglietto

E' questa lettera e quel biglietto che viene conservata e passata di mano in mano a casa Bettinelli. Nulla di più. Finchè la nipote, Teresa Bettinelli, scrive all'archivio storico di Bolzano, invia la carte che conservava di quello zio finito nel nulla nel '44, il biglietto, la fotografia di quel bel ragazzo con i capelli all'indietro. Le risponde la direttrice, infaticabile indagatrice delle memorie del nostro lager: "Mi spiace, Arturo è morto a Dachau", firmato Carla Giacomozzi. La sua matricola, la 4531, blocco H. Ieri, Teresa Bettinelli era a Bolzano. Finalmente davanti alla teca, nella mostra in corso al Museo civico sui volti del lager, che conserva i ricordi dello zio e accanto a Carla Giacomozzi.

Il ricordo

"Che bello che era, assomiglia ai miei figli" ha subito detto con i filo di voce, velato dalla commozione, riosservando quel volto giovane. "E' stato durante il lockdown, sempre in casa, con tanto tempo a disposizione che ho potuto avere tra le mani quelle carte. Il foglio spiegazzato, la lettera di quella signora milanese così gentile e così vicina a noi anche se sconosciuta.

Avevo saputo del lager di Bolzano, delle ricerche in atto. Mi sono detta: proviamoci". Ci ha provato. Ora il lascito Bettinelli è uno dei più preziosi tra le testimonianze raccolte intorno al Durchgangslager e spezza ancora il cuore osservare quelle poche parole vergate a mano, immaginando il momento in cui sono state scritte, l'ansia per il futuro, l'autocorriera che viaggiava verso l'ignoto, i volti degli altri arrestati, le guardie armate a minacciare, la speranza che quel viaggio fosse solo un breve trasferimento, che tutto sarebbe stato poi chiarito...

All'arrivo a Bolzano Bettinelli non sarà invece più lui ma la matricola 4531. "Il 29 settembre del 1944, dopo tre giorni dal suo arrivo a Bolzano - racconta ora Carla Giacomozzi. la direttrice dell'Archivio storico dove sono conservati migliaia di documenti, nomi e fotografie dei detenuti qui - Arturo scrive una lettera ai suoi, li assicura che tutto va bene ma soprattutto chiede di mantenere l'armonia in famiglia e invoca il suo padrone, quello che lo aveva mandato a Genova in braccio ai tedeschi, augurandosi che "avrà cura di lui e delle sofferenze a causa della commissione di suo figlio".

L’ultimo segno di vita

Sarà l'ultimo segno di vita. Qualche mese dopo verrà trasferito nel campo di sterminio di Dachau. Morirà vittima innocente di una guerra non sua, senza colpe se non quella di essere stato costretto ad ubbidire all'ordine del suo padrone. Il quale, non pago di essere stato la causa della sua morte, nel dopoguerra rifiuterà qualsiasi risarcimento ai Bettinelli. "La famiglia si rivolse anche al Cln, al Comitato di Liberazione nazionale - ricorda oggi la nipote Teresa - per chiedere di intercedere e poter ottenere un qualche sostegno. Indispensabile in quei tempi così difficili per una famiglia di contadini. Invece il Barbagallo, così si chiamava, non cede".

Tanto che il segretario del Cln, Telesfore Bonaretti, si rivolge a Corte Palasio e si duole " a causa della mancata sensibilità patriottica del sollodaro Signore". I Bettinelli non avranno più notizie certe di Arturo per 77 lunghi anni. Fino a quando Teresa si rivolge a Carla Giacomozzi per avere notizie dello zio scomparso. Così, dal 2021, quello che resta di Arturo Bettinelli sono un nome e un numero scritti nell'archivio "I deportati italiani nei campi di sterminio 1943-45". Resti recuperati non a caso. Perchè quello svolto in questi anni dalla struttura storica del Comune non è solo stato un lavoro di archiviazione e di riordino.

E' stato molto di più: in sostanza dare voce e volti agli scomparsi, alle donne e agli uomini inghiottiti dalla macchina di morte nazista. Carla Giacomozzi, in particolare, ha dedicato anni non solo agli elenchi e alla loro integrazione ma ha contattato famiglie sconosciute, ha telefonato a possibili testimoni, ha scritto migliaia di lettere e di mail chiedendo lumi, comunicando documenti, mettendo in relazione parenti lontani che mai avrebbero immaginato di poter ricostruire le vicende dei loro cari, dando speranza e offrendo risposte ai tanti interrogativi rimasti in sospeso sulla sorte dei detenuti, ebrei, soldati, partigiani, operai, oppositori del regime. Il punto di partenza è stata la ricostruzione delle vicende del lager di via Resia.

Lo studio

Andata di pari passo conla riscoperta stessa di quel luogo, finito del dimenticatoio per decenni perchè molti negli anni del dopoguerra avvertivano l'esigenza di "chiuderla lì", di smetterla di addossare colpe e perpetuare sensi di colpa visto che sia tedeschi che italiani ognuno, tra fascisti e nazisti, tutti avevano le proprie e che il lager pareva frapporsi ad una invocata riconciliazione dei gruppi etnici.

Poi, proprio gli sforzi congiunti di politici lungimiranti e di ricercatori indefessi come Carla Giacomozzi, hanno consentito di riportare alla luce i luoghi del dolore trasformandoli infine in spazi di memoria in grado di riconciliare, attraverso una lettura comune di quell'orribile storia, due comunità divise dalla stessa. E Arturo Bettinelli, con le sue strazianti parole scritte su un foglio strappato, è oggi probabilmente il simbolo di questo percorso comune. Confluito anche negli eventi di Bolzano città della memoria.













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