L'INTERVISTA AL PRESIDENTE

Fugatti il "democristiano". «Ora cambiamo davvero»

Il neogovernatore del Trentino in equilibrio tra passato bossiano e salvinismo. «Continuerò a stare tra la gente. E con questi numeri potremo governare. Ho capito che potevamo vincere in Provincia  il 4 marzo: l'uscita di scena di Dellai è stata una liberazione simbolica»


Paolo Mantovan


“Gattone” Fugatti ce l’ha fatta. Ha atteso il momento propizio, ha cercato di non far rumore, ha tenuto unito il centrodestra solitamente vocato alla dispersione ed è infine giunto alla mèta. Determinato e tranquillo, capace di stare in silenzio se necessario, pronto ad alzare la voce quando deve lottare, Maurizio Fugatti, nato il 7 aprile del 1972, cocciuto eppure ottimista come si conviene a un ariete, è il nuovo presidente della Provincia di Trento. Ma è anche, nella storia del Trentino, il primo presidente leghista: e quindi non è democristiano né autonomista; anche se su questi punti, a dire il vero, si aprono già i primi interrogativi.

Maurizio Fugatti ha un chiaro pedigree leghista. È riconosciuto da tutti come l’«uomo-gazebo» della Lega, quello della lotta per la sicurezza, della protesta tra la gente davanti agli scandali trentini delle discariche o per la salute contro i fumi dell’acciaieria in Valsugana. È da anni l’organizzatore delle trasferte “padane” a Pontida, ed è quindi, per gli estimatori, il trait d’union con la cultura delle origini e, per i detrattori, l’ultimo anello della vecchia guardia. In realtà Fugatti è in perenne ricerca del punto d’equilibrio fra passato bossiano e salvinismo rampante e così si destreggia, con doti da vero democristiano, a tenere salda la barra fra venti opposti. D’altronde, ecco qui il primo punto interrogativo, in realtà “Maurizio Primo della Lega” ha chiare origini democristiane. Al di là delle abitudini di voto di papà Adriano, che alle politiche metteva sempre la croce sullo scudo crociato (mentre alle provinciali preferiva il Pptt), il neo presidente della Provincia, da piccolino, frequentava la parrocchia di Borghetto e nella chiesa di San Biagio faceva pure il chierichetto. E quindi sa bene come porgere il messale o tenere il turibolo e, quando è necessario, frenar la lingua. E così davanti ai trentini ha detto in tutte le salse nei trenta giorni che hanno preceduto la sua elezione che mai e poi mai avrebbe portato la rivoluzione in questa Provincia, ma soltanto riforme. E ha cominciato pure a citare il mai sufficientemente lodato e osannato Bruno, sì, il Bruno Kessler. Pensa un po’, un leghista che cita Bruno Kessler: come si fa a non chiamarlo “democristiano”?

Ma quando parla di riforme, intende riforme leghiste, sia ben chiaro: i “democristiani” non si facciano troppe illusioni. E poi riforme dal sapore autonomista, insiste e cerca di correggerci mentre lo inseguiamo tra la piccola folla che s’è radunata in piazza Battisti (dal centrodestra ieri continuamente citata come “piazza Italia”). Fugatti è un po’ eccitato, nervoso nel suo vestito carta da zucchero, nel pomeriggio in cui i trentini lo chiamano a voltare pagina. Sente il peso del “cambiamento”, nonostante l’adrenalina lo sospinga, malgrado il suo piccolo Matteo, gemello di Sofia, gli ronzi attorno e gli chieda: «Ma papà, i fotografi hanno finito o ritornano?».

«Sicuramente riforme. Ne ha bisogno il Trentino - spiega Maurizio Fugatti - E gli elettori ce lo hanno confermato».

Era già sicuro di vincere, vero?

Sicuro no, ma me lo aspettavo.

Quando ha iniziato a crederci?

Il 4 marzo. Il giorno dell’esito del voto. Ho vinto in carrozza in Valsugana e la Lega è stata il primo partito: ho sentito che tutto era possibile, che era possibile andare a governare il Trentino.

Mai qualche dubbio?

Tanti dubbi, spesso (sorride)

Finalmente un sorriso...

È vero, mi dicono spesso che non sorrido. Ma sono fatto così.

E dubbi allo scrutinio?

Sì. I primi dati mi davano intorno al 42 per cento: temevo di scendere sotto il 40, di non ottenere il premio di maggioranza, sarebbe stato un grosso problema. Se vogliamo cambiare dobbiamo avere un mandato forte, continuavo a ripetere e a ripetermi. 

E continuava a non sbilanciarsi, a non farsi sentire, a predicare prudenza...

Sì, la prudenza non è mai troppa. Ma poi il voto è divenuto chiaro. Adesso è possibile lavorare bene.

E non ha pensato anche: “adesso mi cambia la vita?”

Sì, ovvio. Lo so bene che cambia. Però ho ben presente nello stesso tempo che non c’è solo una logica personale, ma un impegno importante che richiede senso di responsabilità.

Di certo non si è preoccupato di come andava la Lega, visto che andava fortissimo.

Sì, è stata una Lega davvero forte, ne sono orgoglioso. Però sarebbe stato importante per la nostra coalizione che tutte le forze avessero la giusta rappresentanza.

Ma è apparso chiaro a tutti che la Lega sarebbe stata uno schiacciasassi. Questo può essere un problema per il presidente Fugatti?

No. Sapevamo bene che questo era lo scenario possibile: qualcuno s’aspettava di più, ma è andata così. Io credo che ora sia importante aprire un tavolo di coalizione per avviare tutto quello che vogliamo fare in questa legislatura.

Lei è stato ed è tuttora uomo di governo a Roma, è sottosegretario. Ma a Trento è stato per tutti l’organizzatore dei gazebo, è stato l’oppositore tra la gente, quello che crea il contatto con i cittadini. Ora lo sa bene che non potrà più andare con i gazebo a protestare ma dovrà risolvere i problemi?

Sì, certo che lo so. Ma il contatto con la gente continuerò e continueremo a tenerlo. Non possiamo staccare il contatto. La Lega farà di tutto per restare connessa con la popolazione. Riuscendo a governare ma anche lavorando a stretto contatto. È la nostra forza ed è la forza del ben governare.

Che cosa si sente di dire ai trentini oggi?

Io dico a tutti i trentini che oggi capisco perfettamente quanta voglia c’è di cambiare, di far ripartire il Trentino togliendo la cappa di un sistema sorpassato. Erano vent’anni che sentivo dire che si voleva cambiare e non ci si riusciva mai: ora ci siamo riusciti.

Lei, anni fa, lamentava che il Trentino era un sistema bloccato perché voi facevate fatica a trovare dei candidati perché tanti avevano “paura” a esporsi, temevano di venir tagliati fuori nella vita professionale o sociale, così dicevate voi della Lega. Il fatto che ora abbiate vinto significa che la situazione è già cambiata?

Assolutamente sì, negli ultimi tempi molto è cambiato. Ma soprattutto dopo il 4 marzo. Il fatto di vedere Dellai sconfitto sonoramente e uscire dalla scena è stata come una sorta di liberazione simbolica.

Ora avremo i tre governatori leghisti del NordEst. Farete delle azioni comuni?

«Di sicuro presto faremo un incontro a tre».

Sbuca di nuovo Matteo. Che non è Salvini, ma Matteo Fugatti, il piccolo di papà Maurizio. «Papà, hai finito l’intervista?».













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