l'intervista

Nadia, “fotografa per caso” alla ricerca di una vita libera

La ribellione l’ha spinta ad accettare il primo lavoro da Silvio Dalbosco, suo maestro. Da lì, la svolta


Daniele Peretti


TRENTO. «Un fotografo si distingue per lo sguardo inteso come intuizione e non certo per la macchina fotografica che utilizza». È l’opinione di Nadia Baldo fotografa di professione specializzata in still life e fotografia industriale. Una trentina senza radici, ammette: «sono nata per caso ad Andalo, ma con mio padre impiegato di banca ho vissuto tutti i suoi trasferimenti». Ribelle e fotografa anche per caso, Nadia, infatti si era iscritta alla facoltà di Lettere, ma sognava di andare via di casa e vivere libera.

Alla base del suo diventare fotografa c’è più la voglia di libertà piuttosto che la passione?

La mia era una famiglia molto particolare. Leggevo i fumetti di nascosto perché i miei genitori li giudicavano sub cultura. L’immagine però l’ho sempre sentita parte di me stessa ed ero convinta che in qualche maniera sarebbe stata il mio futuro professionale.

Studia lettere, ma arriva la chiamata del fotografo Silvio Dalbosco.

Per me un maestro. Non sapevo fotografare, ma mi ha dato fiducia e soprattutto libertà. Mi ha trasmesso la dignità del lavoro e insegnato il linguaggio fotografico. Il contratto è passato da part time a tempo pieno e così ho cominciato.

Viste le premesse però non sembra la persona che accetta i vincoli di un lavoro dipendente.

Infatti è durato venti mesi. Non solo, appena ho potuto ho acquistato una mia macchina fotografica perché mi ero stufata della Nikon dello studio ed è iniziata così la mia vita con la Canon che sia come macchina che come obiettivi, mi ha accompagnata fino a poco tempo fa.

Il debutto nella libera professione?

Il 1982, dopo un paio d’anni di studio da autodidatta perché in quegli anni non esistevano scuole di fotografia come succede oggi; scelgo il mio settore ed entro in gioco.

Oggi è una fotografa affermata che si è fatta in Trentino. La nostra provincia non è poi così stretta come si pensa ?

Confermo tutti i limiti che può avere una piccola provincia, oltretutto non ad alta caratterizzazione industriale. Quando ho cominciato sono entrata in un settore praticamente privo di concorrenza, in più dalla ricchezza di quegli anni nasceva la disponibilità a spendere. Lavorare era decisamente più facile.

L’impatto con un mondo coniugato al maschile, com’è stato?

Le difficoltà maggiori non le ho avute con l’ambiente, ma con i clienti.Per fare un esempio, in trattativa con una grossa azienda meccanica, andò inizialmente il mio socio che, entrato nel merito del servizio fotografico, disse che per alcuni dettagli si sarebbe dovuta interpellare la fotografa. Il cliente si inalberò fino ad affermare che il lavoro non ci può essere commissionato se a fotografare è una donna, per una mera questione di genere. Tuttavia oggi quell’azienda è uno dei miei principali clienti.

Nell’interpretazione di un’immagine c’è differenza tra un uomo e una donna?

Siamo profondamente diversi e la differenza c’è e si vede. Purtroppo molte fotografe tendono ad emulare gli uomini invece che dare spazio alla propria sensibilità.

Come nasce un’immagine? Da una lunga fase di ascolto sia di quello che dice direttamente il cliente, sia di quello che va ad affermare tra le righe. Per esempio, durante la valutazione di un foto servizio con una nota industria alimentare, con la responsabile marketing decidemmo di utilizzare colori caldi. Durante la trattativa la responsabile si assentò per maternità, ma alla sostituta il mio lavoro non andava bene. Non ho solo dovuto ascoltare, ma anche osservare notando che si vestiva sempre di colori freddi. Ai colori caldi ho sostituito l’azzurro e le fotografie sono andate subito bene.

Preferisce il colore o il bianco nero?

Personalmente sarei più portata per il bianco nero che per me è più elegante, ma il colore è anche psicologia e trasmette un messaggio nascosto che a livello commerciale è un aspetto fondamentale.

Nadia Baldo dal gennaio di quest’anno è presidente dell’associazione Andromeda e tra le attività culturali, non mancano i corsi di fotografia

Sotto questo aspetto sono apertissima, pensi che sono innamorata delle foto fatte con lo smartphone e ho anche frequentato specifici corsi per imparare. Sono gli iscritti che mi chiedono quale corso vogliono seguire e io mi adeguo.

Cosa non le piace?

Il fatto che oggi si debba dedicare tanto tempo al post produzione. Con l’analogico finiti gli scatti portavi la pellicola in laboratorio ed avevi finito. Oggi invece il tempo dedicato alle riprese è solo un quarto rispetto a quello totale e lo spazio che rimane per noi stessi è davvero molto poco. Ma questa è più che altro una valutazione romantica della professione.

Li realizza spesso attraverso gli scatti della sua macchina fotografica, ma ha un sogno da realizzare?

Due, che potrò realizzare solo quando non avrò più la quotidianità del lavoro. Il primo è quello di immergermi in una realtà per arrivare ad una produzione che sia sintesi delle cose che più mi piacciono: relazioni umane, viaggiare, scrittura e fotografia.

Il secondo è quello di realizzare un lavoro che alla relazione umana, alla fotografia ed alla scrittura affianchi anche la cucina.

 













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