Doping

Floriani: "Salto le siepi, non i controlli"

Il mezzofondista trentino indignato per le accuse del caso Whereabouts


Paolo Trentini


«Ridicolo parlare di doping, ancora di più di sistema di doping». Yuri Floriani cestina così ogni illazione e congetture in merito allo tsunami procurato dalle rivelazioni della Procura di Bolzano sulla mancata comunicazione dei propri spostamenti da parte di molti atleti. Il mezzofondista trentino si trova in Sicilia per preparare la DeeJay Ten di Milano del 4 ottobre e il Giro al Sas del sabato successivo. Come il presidente Giomi e l’altro azzurro Lorenzi, anche Yuri chiarisce che le mancate segnalazioni sono imputabili più a sviste o dimenticanze che cattive intenzioni: «A mio parere - spiega Yuri - qualcuno ha fatto il furbo, magari omettendo di segnalare il proprio cambio di sede per negligenza. Per quanto mi riguarda sono in attesa di capire se, dove e come ho sbagliato, non pensavo di aver commesso degli errori, ma posso capire che qualche svista possa accadere. Mi spiego meglio. Io ormai vivo a Palermo ma quest'estate l'ho trascorsa a Cavareno e una sera tutto a un tratto mi si è spento il cellulare, senza possibilità di riaccenderlo. In quel momento ero a casa e tra famiglia, la figlioletta piccola, il figlio che sta per arrivare può essere che non abbia pensato a segnalare qualche mio spostamento. Non voglio per questo sminuire in alcun modo l'importanza del sistema antidoping, ma a volte può capitare che, tra mille cose, possa sfuggire di segnalare il proprio spostamento. Pensate che quest'estate mi è stato notificato un missed test, un mancato controllo per assenza dal luogo indicato e invece ero proprio lì, con due testimoni in casa. Per sicurezza e per provare la bontà delle mie azioni ho anche mandato in Questura la barista che mi aveva visto pochi minuti prima e ha dichiarato che effettivamente mi trovavo nel luogo giusto».

La lista dei 38 "cattivi" è stato il classico fulmine a ciel sereno: «I primi giorni sono stati molto difficili – prosegue Floriani – sono state spese troppe parole per una cosa che non ha tutta questa importanza. Addirittura si è parlato di doping di Stato, all'interno di una federazione, quella di atletica che ha a malapena i soldi per tirare avanti. Mi sono ritrovato a combattere e a parlare con persone che sputavano sentenze senza conoscere nulla. Io faccio atletica da 15 anni e da 4 vado avanti solo per la mia famiglia e il mio allenatore. Sentirsi additato come un drogato nei primi giorni non è stato facile». L'eventuale assunzione di sostanze proibite sarebbe stata troppo costosa, oltre che inutile ai fini del risultato: «La gente – conclude Floriani – non sa che il doping ha anche dei costi. Non è che uno scende in farmacia e prende le sostanze che vuole, bisogna procurarsi i farmaci e farsi seguire dai medici. Cosa che per me sarebbe impossibile dal momento che con i 1.500 euro che guadagno non copro nemmeno le spese del fisioterapista. Inoltre, al di là della retorica, basta guardare i risultati dell'atletica italiana per eliminare i sospetti. Fossimo un gruppo che vince medaglie a ripetizione il dubbio potrebbe anche venire, ma io e molti altri facciamo un'enorme fatica soltanto per qualificarci alle competizioni internazionali. Posso capire i sospetti per chi ambisce al podio, non quelli nei confronti del sottoscritto».

 













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